Khlyst – Chaos Is My Name

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Ci dispiacque tanto che i simpatici e teneroni Khanate si sciolsero, pianti e disperazione: niente più pianoforti fracassati in copertina, niente più strumenti a corda torturati e corde vocali distrutte in epilettici attacchi d’ansia, mannaggia. Ma ovvio che un tizio quale James Plotkin non può mica starsi fermo a lavorare in un negozio di rubinetti e prendere i figli a scuola ogni pomeriggio. Così, quando si risente White1 dei vicini di isolato))) decide che quella vichingona (Runhild Gammelsæter) che blatera nenie distorte su The Gates of Ballardpuò essere una valida vocalist per un nuovo progetto ancora più malvaggio, cattivo, marcio e disturbato. La “K” iniziale resta, le lettere aggiunte formano la parola “frusta” in russo e dopo qualche prova in sala dediti ad affilare gli strumenti si registrano otto frammenti equamente ripartiti tra ambient catacombale e noise tribale bello distorto e asciutto, improvvisazione dominata da urla roche e scudisciate di chitarra compressa fino ad acquisire un peso specifico piuttosto elevato frammista a lontani scricchiolii e lamenti genuinamente inquietanti, il tutto esaltato da immediatezza e sanguigna coesione dell’insieme. Disturba parecchio, rimanendo forse più convincente nella metà disco violenta e acida, durante la quale è impossibile non sorridere intravedendo nei nervosi e deviati scatti ritmici le atmosfere putride dei tempi in cui assieme a Plotkin giocavano a costruire deliri orrorifici anche Alan Dubin e Stefanino O’Malley…