Enfance Rouge – Trapani – Halq Al Waady

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Il succo del sesto album in studio degli Enfance Rouge è muoversi all’interno della grande geografia del Mediterraneo e affondare le mani nelle sue coste, efficace sintesi di una visione che, abbandonato lo shock culturale degli ultimi lavori, si mischia prepotemente a quella che sembra essere una delle più grandi antologie di folk songs mediterranee ascoltate da parecchio tempo.
Non puoi azzardarti a dire altro: più che armeggiare con post punk o quantomeno con una vaga concezione Oxbow, l’Enfance Rouge chiama tra le sue fila il compositore dell’istituto superiore di musica di Tunisi Mohamed Abid, aggiunge violini, darbouka e oud mentre il tutto si fa più torbido, s’alza la sabbia, la storia, le guerre – si, le guerre, perché il percorso che stravolge l’ascoltatore di ‘Trapani – Halq Al Waady’ è lo stesso flusso ininterrotto di viaggiatori, viandanti, dispersi, immigrati, chiamateli come vi pare, che affollano le varie parti del Mediterraneo. Francoise Cambuzat, Chiara Locardi e Jacopo Andreini fanno di tutto questo, ancora una volta, necessità corale e stato di tensione tra Occidente e Oriente, ne mischiano le carte come se tra il sangue della Sicilia, la sabbia di Tunisi e le piazze di Parigi stessimo guardando la stessa identica cosa.
Ci aggiungi uno Jacopo Andreini con una batteria che è un puro miracolo, le magnifiche sciabordate di oud e chitarra di Ras El Ahmar e Hurricane Lily, la nera rabbia di Ana Lastu Amrikyyan ed eccolo lì: disco dell’anno, di tutti i prossimi anni