Six Minute War Madness – Il vuoto elettrico

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Se “Milano non è la verità”, anche nell’hinterland le cose non andavano meglio in quel periodo: “la vita è dura in provincia […] aspirine a colazione, cinque giorni su sette” mormora Federico Ciappini, voce di questo progetto che è stato un affondo splendido e terribile nel rock alternativo italiano degli anni novanta, come uno squarcio nelle tele immacolate del Fontana. Un progetto che ha in sé musicisti degni di nota: Paolo Cantù, Fabio Magistrali e quel Xabier Iriondo che all’epoca era ancora compagno di scorribande di Manuel Agnelli. Sì, c’era stato il disco omonimo di esordio dell’anno prima, c’era la soddisfazione di vedere un proprio singolo edito dalla Man’s Ruin, ma è qui che tutta la loro urgenza, malattia, esasperazione esplode. Uno schianto. Musicale e nelle parole. Un’alternanza tra parti dilatate da post rock (in) acido e soft inframmezzate da sorprendenti esplosioni noise, da muri di suono che raramente ho sentito da queste parti, da riff incendiari e brutali che ti penetrano nella carne: li senti entrare, li lasci entrare, ti fottono testa e spirito. Il mondo dei Six Minute War Madness è una palude in cui non si riesce ad uscire, sabbie mobili che non lasciano via di scampo, non ci si salva, bisogna rassegnarsi: “Tanto succederà, di solito è così” (Lettere dal fronte), “La mia ambizione non porta a niente, non ci si muove, non ci muoviamo mai” (Ottobrenovantasei), “Passano le ore, dentro a giorni mesi e anni e sono tanti, sono pieni di dolore (Dolores). Perché tentare di ribellarsi a questa gabbia che è l’infame condizione umana, “Una febbre che prima o poi si prende” (Lettere dal fronte)? Perché lottare? Non si può, non si riesce: “Forse è meglio guardare in faccia il coraggio che non hai” (Dolores), “E non si logora quello che mi serve” (Le mie streghe). L’unica via di uscita è il ricorso all’abuso di mezzi oramai ampiamente noti… uno è sicuramente l’alcol: “Bevici un po’ sopra e vedrai che avrai ancora voglia di parlare al vento” (Test – test). Alcol che provoca sollievo e poi dolore e poi bisogno e poi sollievo e poi dolore in un circolo vizioso senza soluzione: “Le sbronze sono dure da morire come i pali della luce che schiantano i parabrezza, non c’è niente da perdere e hai un’incredibile urgenza di bere” (Il vuoto elettrico). L’altro mezzo è la droga, una qualsiasi: “Posala con cura la mistura che va messa nel cannone” (Dolores), “Mdma stanotte non lasciarmi più, bagnami il collo sotto le coperte” (em-di-em-ei non emmedì-emmeà, state bene attenti). Quello che Ciappini descrive in Sexxtasie è un rapporto con la sostanza che non è troppo dissimile da un amplesso tra amanti disperati e violenti), “Calati in me, i tuoi tentacoli si muovono così veloci sulla pelle d’oca come le parole tristi che raccontano perché staccherò il filtro ad un’altra sigaretta”, “Adesso sento che ci sei, vorrei che non finissi mai, è tutto forte e chiaro qui”, “Mdma ci sei, ci sei, stringimi ancora se mi vuoi, ti sento forte e chiaro ormai”. Una via di fuga brutale verso un mondo allucinato e spaventoso (“Credo spesso che sia più facile se non sono in me” in Neanche un minuto), per un viaggio verso il bordo di un abisso: “Sul vuoto che da sotto mi spinge brulica il mio nido di bestemmie” (Le mie streghe). Non è la disperazione da eroe romantico, è la disperazione vera e nera senza scampo, raccontata con allucinata lucidità. I SMWM non l’hanno scampata e dopo il successivo ‘Full fathom six’ sono caduti. Un lavoro sconvolgente.