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Si parte con Mother’s Day, come se fosse un live: one two three four e una valanga di note e parole. Così inizia il disco di debutto di questo gruppo di Chicago, trascinato (l’avreste detto?) da Ezra Furman, un giovanotto fantasioso e scatenato. Siamo dalle parti del folk-rock suonato con foga e imprecisione (attitudine alla Violent Femmes, diciamo) che tanto sarà apprezzato da chi ha bisogno di sfogarsi un po’: una cascata di energia contagiosa alla quale è difficile restare indifferenti. E c’è anche dell’altro. In realtà, infatti, questo album non offre solamente canzoni che si rincorrono a gran velocità fino alla fine, ma mostra anche un lato struggente (volutamente tendente al comico), che diventa straripante in episodi come God Is A Middle-Aged Woman. Quello che colpisce di più l’ascoltatore, però, sembra essere la voce di Ezra: urla sgolate, parole masticate e vocali trascinate con un’urgenza che non lascia riposo; come se avessimo a che fare con Gordon Gano o con un Bob Dylan veramente a ruota libera.
Intanto, How Long, Diana? e My Soul Has Escaped From My Body potrebbero entrare in (quasi) qualsiasi classifica radiofonica per la loro immediatezza e freschezza. L’immancabile episodio blues (She’s All I Got Left) arriva, però, quando l’album inizia forse a stancare: tutta questa foga tende un po’ a diluirsi nei 54 lunghi minuti, lasciando un senso prematuro di fastidiosa sazietà. Qualche taglio qua e là non sarebbe stato doloroso, diciamo, anche se buona parte del disco rimane comunque godibilissima e a tratti entusiasmante. Insomma, questo lavoro avrà anche i suoi difetti, ma le urla di Ezra Furman e la cascata di note dei suoi soci vi riempiranno di gioia e voglia di fare, almeno per un po’. E, a mio avviso, non è poco.