Scenester Zone #1 – Una cosa che prima chiamavano rapegaze

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Come ho imparato ad amare la “scena” e a voltarle le spalle


– “Non abbiamo niente a che fare con la cultura gay, tranne che per alcune canzoni, che scrivo per i ragazzi che mi piacciono”.
“Oh, allora sono canzoni d’amore?”.
– “No, sono canzoni da stupro”.
– John Holland dei Salem, intervista a Butt Magazine, 8 dicembre 2008

“E’ che ci facciamo queste foto in cui abbiamo lo sguardo super serio e allora lo chiamiamo rape gaze (occhiata da stupro). E’ solo un gioco […] Vorrei aggiungere una cosa. Forse non l’ho specificato ancora abbastanza, ma non prendo la parola “stupro” alla leggera e non incoraggerei mai la violenza sessuale contro un altro individuo”.
– Dj Lauren Flax dei Creep, intervista al Village Voice, 8 ottobre 2010.

“Nota dell’editor: la recensione adotta una serie di nomi usati per definire la musica dei Salem e/o di artisti simili, come drag e witch house. All’inizio conteneva anche la parola rapegaze, usata dalla band originaria del Michigan Creep sul loro Myspace, ma l’espressione è stata rinnegata stamattina in un’intervista al Village Voice”.
Pitchfork, recensione a King Night dei Salem, 8 ottobre 2010

Ma non potevano chiamarla chillwave e basta?
Che a coniare questo termine sia stato Carlos del blog Hipster Runoff o meno, sta di fatto che tra il 2008 e il 2010 tale micro genere ha preso il largo senza che nessuno, nel frattempo, abbia imparato a definirlo in meno di due battute.
Perché la chillwave è tante cose: è un cantante solo con il suo portatile, è una band di massimo tre componenti che:
A) non guarda mai il pubblico in faccia
B) se Alice Glass riesce a farlo allora anch’io,

è la passione per i sintetizzatori degli anni ottanta e i testi intellegibili soffiati più che detti nel microfono, è la riesumazione del rap bianco di certi quartieri di Chicago e Houston dove nessuno sapeva si facesse rap bianco, è sentirsi tanto ma tanto più intelligenti degli altri da dire “Penso che Mariah Carey sia una grande artista e non me ne vergogno affatto” come hanno dichiarato alternativamente gli XX, i Salem e chiunque voglia una menzione nello stupidario ironico del giorno.
Poi, un giorno, due ragazze del Michigan ma di stanza a Brooklyn formano un duo, lo chiamano Creep e sul loro Myspace, sotto la voce “genere”, scrivono witch house – espressione che circola già da qualche tempo – e rapegaze. Che sia un gioco di parole o una provocazione liceale, conseguono il loro scopo, solleticano l’appetito di qualche moralista e poi, dato che sono del mestiere, dichiarano puntualmente che si tratta di un bluff, che non esiste nessuna scena, che loro vogliono solo esprimersi e basta. Cioè.
Rispetto alla chillwave, la witch house ha la pretesa di spaventare il pubblico, per questo recupera le musichette da casa delle streghe, rallenta i beat, sfrutta i vocalizzi angelici di una ragazza che non importa quanti anni abbia suona sempre come se fosse minorenne e dissemina croci in tutti l’artwork, sullo sfondo di cieli elettrificati al neon e boschi dove sicuramente si nasconde qualche cadavere fatto a pezzi. Angelo Badalamenti faceva witch house ai tempi di Laura Palmer, solo che non lo sapeva.
Per farla breve, la witch house diventa un fatto, con le sue compilation dedicate, il suo pubblico e un immaginario elettro gotico confuso di cui le Creep non sono le rappresentanti più serie, ma solo tra le più famose. Fanno collaborazioni con Romy degli XX, per dire.
La faccenda del rapegaze è un po’ più complessa, la parola non piace a tutti.
E nonostante sia stata inventata dalle Creep, la stampa l’ha usata soprattutto per ricattare i Salem, che sono questo trio Michigan+Chicago amato e insultato in egual misura in tutta la rete.

Sul perché vengono insultati basta dare un’occhiata alla loro esibizione al Fader Fort su Youtube: quattro minuti di puro terrore definiti tra i più brutti live di sempre (si avverte che in un periodo in cui tutti i frangettisti si prendono dannatamente sul serio vedere tre musicisti che non sanno perché sono lì e “fumano sul palco come dei weirdos depressi qualsiasi” può creare dipendenza, quantomeno per chi ricerca un’assoluzione sociologica).

Sul perché vengono amati, si studino trent’anni di effetti tranquillizzanti garantiti dal dark e dagli orecchini a forma di croce argentata su una generazione di ragazzini in rammarico; la catarsi è talmente consistente che non importa se i Salem fanno finta di rappare e indossano bomber acetati.
Il dolore va contestualizzato, i ragazzini rammaricati possono accettarlo.

Nei testi della band, non c’è quasi niente che giustifichi la pretesa e l’intenzione del rapegaze, è solo musica da trip, se ti fai di trip, è solo musica triste e spersonalizzante, se sei triste e spersonalizzato. E con tutta la buona volontà, il video di Skullcrush non è abbastanza ambiguo da chiamare in causa l’osceno e la morale.

Ma tanto, oggi, di rapegaze, non si parla più.
La parola ha assolto il suo compito, la parola può essere scaricata.
Sul loro Myspace, le Creep scrivono che fanno trip hop. Nelle interviste dichiarano “Oh, che cavolo, è solo house”.
I Salem hanno remixato Try it on degli Interpol e l’hanno resa migliore. Probabilmente nei prossimi live saranno ripuliti a sufficienza da ottenere recensioni di incoraggiamento sulla scia di quella già prestata loro dal New York Times, e se Heater Marlatt impara a cantare saranno una band in cui si balla di più e si muore di meno.

Alla fine, non potevano chiamarla chillwave e basta?