The Knife – Shaking the Habitual

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Era il 2006, i fratelli Olof e Karin Dreijer aka the Knife, duo electro-pop Svedese, pubblicavano un disco che verrà considerato da molti come il momento più alto raggiungibile in carriera: Silent Shout. Passati sette anni fra collaborazioni, progetti solisti, esperienze teatrali, tornano con Shaking the Habitual: un album ambizioso, a partire dal titolo, che tenta apertamente di  scavare un solco qualitativo fra sè e i precedenti lavori. Centrale in primo luogo è la dimensione politica nell’intento di “scuotere” gli “abituali” rapporti di forza economici e di genere che caratterizzano l’ingiusta realtà odierna. “Liberals giving me a nerve itch” canta Karin in Full of Fire raccontando il disprezzo verso “All the guys and the signori telling another false story” emblema del potere economico. L’artwork ad opera Liv Strömquist recita: “End extreme wealth”, mentre il misterioso manifesto che accompagna il disco liquida il capitalismo comehomicidal class system”. Sul versante femminista invece c’è quel “Not a vagina, it’s an option” diretto ed efficace quanto sprezzante dei ruoli sociali. Tanti gli argomenti affrontati spesso in modo criptico e controverso ma senza  mai scadere nella retorica più facile. Anche a livello musicale quanto fatto in passato subisce un’ ulteriore estremizzazione che dona maggiore complessità al suono. Se v’aspettavate il synth-pop, il singolo tipo Heratbeats, siete fuori strada: radicalismo sonoro ancor prima che politico.

C’è più spazio, così, per l’electro-opera a là Tomorrow in a year (vedi Cherry on Top e Warp Your Arms Around Me), o per l’ambient\industrial degli interminabili 19 minuti di Old Dreams Waiting To Be Realized. Anche nei brani più accessibili (i singoli e Without You My Life Would Be Boring su tutte), i due tentano in tutti modi di complicarti la vita fra pulsioni etniche, minimalismo nordico e richiami techno. Ed è veramente difficile accostare ai consueti aggettivi (art- , alt-, electro-) anche il termine pop. Shaking the Habitual, in definitiva, è un concentrato di ambizione-presunzione, profondamente spocchioso, tanto odioso quanto, purtroppo, bello. Fin dall’ inizio è forte la tentazione di bollare il tutto come una masturbazione finto-intellettualoide, il vezzo di due fratelli privilegiati che giocano a fare i rivoluzionari. Ma il coraggio e la coerenza dell’ opera ti costringono, in modo intellettualmente onesto, alla resa. Non c’è niente da fare: Karin e Olof sono più capaci e intelligenti di te, probabilmente, chi aveva accolto in quel modo Silent Shout, li stava sottovalutando. Eccolo dunque Shaking the Habitual, pronto a raccontarci la nostra mediocrità.

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