SVFFER – In Lies We Live

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Immaginate una di quelle ragazze dipinte da Waterhouse, da Rossetti o da Burne-Jones; immaginate tutta una serie di lineamenti e fisionomie che rispecchiano gli oltrepassati canoni di ogni consuetudine stilistica; più in breve, immaginate una ragazza piccolina, magrolina, biondo-rossiccia di capelli, senza un orecchino, senza un piercing, senza un tatuaggio, senza un filo di trucco e vestita come la maggior parte delle vostre compagne d’università che si siedono in prima fila e che magari vi rivolgeranno la parola solo alla fine del semestre. Immaginate anche che potrebbe essere una creatura appartenente ad un altro mondo grazie alla sua soavità e leggerezza. Ci siete ? Mi basta, l’importante è tentare di sbozzare un pensiero, benissimo. Ora andate sul bandcamp dei SVFFER e premete play per non credere alle vostre orecchie.

Questo incipit mi pare doveroso perché così potrete capire il mio sgomento quando ho ascoltato (o meglio, visto dal vivo) la band tedesca per la prima volta la scorsa settimana. Ma ora mettiamo un po’ più di carne al fuoco. Personalmente sto ancora elaborando la fase di lutto per lo scioglimento degli Alpinist, formazione di Münster dedita ad un ferocissimo hardcore caratterizzato da valanghe di blast-beat e riff vorticosi, da far impallidire la maggior parte delle band black-death del pianeta. Dalla morte di questo progetto ne nascono altri due, Jungbluth (famosi per aver rilasciato l’anno scorso un disco hardcore che è entrato nelle classifiche estreme di mezzo mondo) e l’oggetto della nostra recensione: i SVFFER.

Ora, si può anche tentare di tracciare la musica proposta dai nostri tedeschi; accennare si, perché un ascolto, in questo caso, vale più di mille parole. Parafrasando il detto “una mela non cade mai troppo lontana dall’albero” possiamo già ben immaginare che le note che escono da questo Lies We Live non sono così dissimili dalla defunta madre-band. Le urla della piccola Leonie sono letteralmente disumane e sebbene oscillino fra harsh-vocals e growl, la nostra predilige un tipo di screaming che ti strappa letteralmente la pelle dalla carne. I furiosi blast-beat, accompagnati dalle chitarre vibranti e cacofoniche, prendono a calci in bocca dischi come Panzer Division Marduk o l’intera discografia degli Impaled Nazarene; la velocità e l’efficacia dei pezzi vince su quasi tutti i gruppi che siamo abituati ad ascoltare (qualità già rilevata negli Alpinist).
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