Interpol – El Pintor

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Turn On The Bright Lights è vivo, Turn On The Bright Lights è morto: e il tutto va visto da diversi punti di vista che coinvolgono considerazioni positive e negative da ambo le parti. Questi comunque sembravano essere i due inni, per quanto antitetici, innalzati da milioni di ascoltatori dopo essere stati scossi dalla elettrica e cupa All The Rage Back Home, primo singolo ad anticipare l’album: la sensualità del rock, le fughe strumentali, la ripetitività del canto lievemente incalzante, nulla qui lascia scampo, è tutto nudo e accattivante. E allora ce lo dicevamo tutti sottovoce: gli Interpol sono di nuovo tra noi. E quante emozioni! L’impressione era che dopo anni di incertezze avessero ritrovato la strada – quella percorsa nel 2002, quando venne pubblicato il capolavoro citato all’inizio dell’articolo -, e contemporaneamente però li si vedeva correre verso una diversa linea spaziale che gli avrebbe donato una luce differente, una nuova luce brillante. Almeno così sembrava, ma le favole nella caotica New York non le racconta più nessuno, e ancora in meno vi credono. Si ha fede per certo nella propria carne, che ha una sola caratteristica rispetto alla spirito, per definizione etereo e fiabesco: si deteriora, si perde con il tempo nelle sue pieghe, nei suoi multiformi rattrappimenti. A New York esiste la carne, esiste la stanchezza, ma per questo la fisicità della rabbia diventa una forza prepotentemente esplosiva e trascinante. La si vede, questa band, intrappolata nel proprio muro di gomma, nell’album di figurine di un dio progressista, intenta a fuggire via. Ma l’impresa è dura, triste per chi vede, sfiancante per chi combatte. Si cambiano le carte in tavola, non ci si chiama più Interpol, ci si chiama El Pintor, astuto anagramma per mistificare, distrarre l’ascoltatore, per cercare una nuova identità, ma lo spazio non è abbastanza, l’unica cosa a eccedere è l’anidride carbonica.

Accade quindi che gli occhi si chiudono, un po’ delusi e solo in parte stanchi, all’ascolto del disco: gli Interpol hanno pubblicato il loro proprio Bignani di stilemi. Ovvero, El Pintor è quanto è stato fino ad ora, e non quel che sarà: si sentono gli echi dell’esordio (My Desire), si sente Our Love To Admire (Anywhere; Everything is Wrong), si sente il peso di un gruppo parzialmente arenato, infangato, bloccato dalla propria genialità. Del resto un anagramma è solo un cambiamento parziale, è un mescolare le stesse carte che rimangono sempre gettate sul tavolo.

Gli Interpol sono stati lanciati in un labirinto dall’inizio della loro carriera: la carica dell’esordio li ha accompagnati a lungo, ma già con Antics la rassegnazione iniziava a farsi sentire, oggi a prevalere è la voglia di dire che quanto si è fatto finora è stato il massimo fattibile, e lo si fa con stanchezza, con un pesante distacco dalla forza motrice che li ha buttati nel vortice iniziale. Un modo di riconoscersi meriti, pregi e difetti, certamente; un modo però che fa sì che ci si mostri stanchi, disfatti, pronti ad accettare ciò che deve accadere. Que sera, sera

Però noi crediamoci alle favole: raccontiamoci che questa è la storia di un gruppo che presto si risveglierà, tornerà con una seconda pietra miliare di un secondo, fresco, decennio… prima o poi. È ancora possibile immaginarsi degli Interpol creatori di forze decennali? Per rispondere a tale domanda prendiamo in prestito una frase scritta da Marx (spostandola completamente dal suo contesto, e che il Comunista ci perdoni): la Nostra band newyorkese rassomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate: dal passato gli Interpol ripresero tutto la new wave britannica che più li ispirasse, la fecero rivivere, dandogli una propria coloritura; poi l’equilibrio andò in frantumi, e ogni ulteriore disco sembra oggi diventare una caccia a un qualche spiritello inglese sfuggito di mano. Manca l’equilibrio precario, manca il potere dell’oscurità, manca la voglia di ridefinirsi, una volta che ciò con cui si era raggiunta la fama e la bellezza si è musicalmente, e in modo definitivo, impantanato. 

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