Swans @ Circolo Degli Artisti [Roma, 11 ottobre 2014]

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Attitudine e Visual:

È nella dinamica dell’eccesso dall’animo gotico, dell’iperbole reiterata, dell’estremo dilatato lungo dissonanze fatte di contrasti dagli istanti sonori rarefatti e brutali che gli Swans inanellano le loro litanie inquiete e oscure sul palco del Circolo Degli Artisti, sold out per l’occasione. Ad aprire la serata: il noise-industrial sferzante e velenoso della bionda newyorkese Margaret Chardiet, in arte Pharmakon, che come un “farmaco” indolente scaraventa attimi che stridono tra gli amplificatori, filtrando un’elettronica delittuosa e un industrial primordiale a urla vocali crude e feroci. Ed è poi la volta del gong…del fragore assordante, delle liturgie da “cotone idrofilo”, dei vortici cadenzati all’infinito, di quell’universo primitivo, ovattato e lontano che gli Swans sanno sapientemente disegnare live. Senza tecnica fine a se stessa, lontani dalla perfezione strumentale certosina e deliberata, ma con la semplicità di una sezione ritmica incisiva e ripetuta fino a un passo dall’eterno, gli Swans si muovono tra deflagrazione e rumore, “paranoie” mentali e allucinazioni psichiche. Michael Gira, interamente vestito di nero, è austero e inflessibile, ogni tanto chiede di modificare l’intensità delle luci in sala, lascia poco spazio ai discorsi e ampio raggio d’azione al vigore cosmico del “boom sound”. Il suo cantato, che alterna mantra catartici a parole decantate e “poemi inquieti” e modulati, cerca di farsi strada tra le asperità taglienti del suono, mentre Norman Westberg, Christoph Hahn, Phil Puleo, il vichingo Thor Harris, a torso nudo durante tutta la durata del concerto, e Christopher Pravdica elargiscono, esplosioni, espansioni e distorsioni, visioni irraggiungibili e apocalittiche.

Audio:

Anche se la voce di Gira fa spesso fatica a emergere tra le ossessive bordate ritmiche, il poderoso muro sonoro costruito dagli strumenti e i volumi altissimi riescono a permeare interamente i sensi, ad avvolgere, senza via di scampo, le orecchie dei presenti, a vibrare prepotentemente e a oscillare col suono stesso.

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Setlist:

C’è il gioco dell’improvvisazione che si fa strada tra gli interminabili e corposi voli strumentali e le iterazioni diffuse. Ci sono brani come Just A Little Boy, A Little God In My Hands, She Loves Us!, Bring The Sun (dall’ultimo album To Be Kind) e ancora The Apostate (da The Seer), i due inediti Don’t Go e Frankie M e i saluti finali tra gli applausi del pubblico.

Momento migliore:

Due ore e mezzo interminabili di suoni cangianti, di sperimentalismo estremo, di angoli bui e rumorosi che sembrano continuare all’infinito in un unicum denso e inaccessibile.

Pubblico:

Con o senza tappi alle orecchie, il folto pubblico sembra in trance, rapito e perso tra le metafonie sonore degli Swans, a metà strada tra meditazione e coerente delirio.

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Locura:

Non pervenuta

Conclusioni:

Ci sono poche band che, anche a distanza di anni, sono capaci di reinventare con coraggio dei veri e propri manifesti di rarefatta e incessante violenza sonora, degli spaccati sonori che si espandono sino a raggiungere un altrove sconosciuto. Gli Swans ci riescono ancora, nel bene e nel male, all’interno di un concerto sicuramente non per tutti che fa sempre ronzare un pò le orecchie e vibrare gli animi…Apostati neri del suono per un live che è alienazione, sinonimo crudo e desolato di morte e redenzione.

 

Le foto si riferiscono alla data dell’Hiroshima Mon Amour (Torino)