Kindness – Otherness

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Due anni fa Rough Trade allegava al primo album di Kindness (World You Need A Change Of Mind) un mix CD in cui Adam Bainbridge (appunto, Kindness) accozzava Todd Rundgren con i Devo, Battisti, i Daft Punk, Janet Jackson e parecchio altro. Con quel mix, solo in apparenza improvvisato, riusciva a spiegare l’intersezione di funk, elettronica e rock da crociera presenti sul suo album. Poi, la scelta di una Janet Jackson adolescente (Come Give Your Love To Me) indicava alla perfezione da dove provenisse quell’artista lungo e secco e dove sarebbe potuto andare se ad affiancarlo avesse mai trovato una Samantha Urbani, una Caroline Polachek o altra gente dei medesimi giri newyorchesi.

Ecco, quella stessa identica fantasia deve averla maturata e poi realizzata qualcun altro, leggasi Devonté Hynes (Blood Orange), che con la Urbani si è legato non solo professionalmente e con lei ha fatto esattamente quella cosa lì (You’re Not Good Enough). Kindness ha fatto parte di quel clan con la maglia da titolare, scrivendo, collaborando, producendo. Insomma, tutte cose che facevano presagire che la sua seconda uscita avrebbe attinto molto sia dall’esperienza dell’esordio, sia dai circoli fruttiferi frequentati di recente. E invece, molto semplicemente, non è successo. Otherness, in definitiva, espone quasi esclusivamente le sembianze di un Prince a luci abbassate, un profilo più marcatamente R’n’B, il lato più vellutato e di certo quello più bradicardico di Adam Bainbridge. Alla fine si sente una dannata mancanza delle altre facce di cui Kindness sembrerebbe disporre. A proposito di facce, in copertina si opta ancora per un primo piano: stavolta molto riflessivo, l’altra volta gentilmente sfrontato. Gli ospiti ovviamente ci sono ma Kelela è meno efficace che nel suo album solista e Robyn, come al solito fa Robyn, cioè una cosa di cui non si è mai avvertito il reale bisogno. C’è anche Blood Orange ma questo, data la frequentazione quasi quotidiana, era scontato. Se poi si va sul dettaglio va certamente preso atto del piacere fisico di certi bassi grassoni e del calore che tutto il disco è in grado di infondere.

Non una vampata, sia chiaro, qui avvertiamo un tepore progressivo, quasi subdolo per come aggancia noi prede fin da World Restart. E si va avanti così in quest’esperienza in cui il confine tra il godimento e l’assopimento è filiforme come Bainbridge. I’ll Be Back è probabilmente la vetta, però quando finisce anche l’ottima It’ll Be Ok, ultima traccia, il risveglio è tipo all’aeroporto. Come se il volo per casa fosse tra un’ora e, consapevoli di essere stati in una città multiforme, realizzassimo di aver visitato un quartiere solo. Purtroppo.

[schema type=”review” name=”Kindness – Otherness” author=”Marco Bachini” user_review=”3″ min_review=”1″ max_review=”5″ ]