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2 Febbraio 2015 | Sussidiaria | bandcamp |
La prima cosa che ti viene da pensare è che Daniele Carretti ha scelto un nome davvero curioso dietro cui nascondersi per il suo progetto solista nato nel 2013 con “Abbandono” e che oggi prosegue con “Paura”. Lui è il chitarrista degli Offlaga Discopax (chi se li ricorda ben ha presente quella musica e quei testi da nevrosi e decadentismo autoironico che ti puoi aspettare da chi vive nella pianura padana, anche solo per sentito dire, nebbia e quelle pianure lì tutte uguali). L’ altro suo progetto si chiama Magpie che vuol dire “gazza ladra”.
Questo “Paura” è stato pubblicato in 500 copie, ognuna delle quali contiene un frammento fotografico diverso; la copertina, una tuffatrice sul trampolino in mezzo a un cielo stellato, è un collage dell’amico Filippo Quaranta. Paura è un disco che spazia fra le sensazioni, molte delle quali riconducibili alla tristezza dell’essere; quelle 50 sfumature di tristezza fra spleen e la malinconia, capaci di riempire d’allegria una serata casalinga.
Lui nelle foto è sempre con la felpa, e anche io al terzo ascolto mi sono immaginata dentro una felpa extralarge, con le cuffiette, le mani in tasca e cappuccio su, mentre in sottofondo scorrono 10 tracce (da Buio a Paura Mai, poi Sempre dopo, Spazio, Luce) che sembrano un’unica lunghissima canzone modulata su reverberi, delay, drum machine e da una voce incredibilmente salmodiante. Così tanto che nell’unica cover contenuta all’interno del disco (già nel singolo “Inverno” uscito il 13 gennaio), Felpa si dimostra abile nell’intento di personalizzare il testo di Rimmel (De Gregori) con inedita nonchalance, del tipo:
“Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo/ e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro ancora”
Piccola modifica capace di generare scompensi; “forse sono io che non l’ho mai capita bene“. Mi son detta. E sarebbe cosa grave trattandosi di una delle mie canzoni preferite in assoluto. Il Riascolto chiarì la faccenda (non era “ancora i tuoi quattro assi?”). Insomma, non è semplice fare un disco così, perché la noia può diventare un concetto relativo, come anche il tempo e la paura del tempo. Sono passati ben 25 anni dagli anni 90 e a dispetto delle critiche verso le retromanie – spiegatemi poi come si fa a non essere retromani Ndr -, questo disco, spiaggiato sull’isola del post-Novanta, può anche fare al caso nostro. Per noi, che veniamo da quegli anni, che siamo grandi, belli e occupati, che facciamo lavori del tipo: “sì ma non è il mio lavoro, però sai…” e che siamo orribilmente nostalgici, ogni tanto.
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