Twin Shadow – Eclipse

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George Lewis Jr. è un personaggio su cui è difficile scommettere senza paura di rimetterci tutta la puntata. Ed oggi siamo al terzo, interlocutorio album. Dalla pubblicazione del debutto “Forget” è stato tutto un alti e bassi: ci sono stati passaggi convincenti sotto un profilo e incerti da un’altra prospettiva. Cosa dire per esempio delle velleità filmiche di Twin Shadow esplose in concomitanza con il secondo lavoro, Confess? Forte della collaborazione con il regista Keith Musil e delle proprie ispirazioni (idee per lo più rubacchiate da Thriller, da Romero, da Rodriguez) realizzò una serie di video a tema di bande, giubbotti di pelle, motociclette e cazzotti: il tutto con una colpevole latitanza d’ironia. Se poi l’ironia ci sia stata, è sempre stata nascosta bene, ecco. In definitiva le immagini hanno tentato di seppellire quanto di buono c’era in canzoni come “Five Seconds” e “Patient“.

Ma la cosa che fa più male, oggi che esce Eclipse, è il vistoso calo alla voce “essenzialità”, tratto distintivo del primo album ( prodotto da Chris Taylor dei Grizzly Bear, dettaglio non poco rilevante). Da un approccio iniziale alla Morrissey, si è passati (attraverso Confess) all’epica di uno Springsteen con arrangiamenti ricchi e voglia di mainstream, per poi arrivare alla stazione che oggi si chiama Eclipse. Deludente anche nelle anticipazioni, il nuovo album segna il passaggio ad una major (la Warner dopo la militanza in 4AD).

Un lavoro levigato e laccato, con un’enfasi sul versante elettronico proprio nel lato più downtempo. Non sarebbe affatto un male se solo l’ingente lavoro di post produzione non avesse annacquato il dignitoso connubio tra un cantato appassionato e i buoni spunti di natura Wave che ogni tanto affiorano. Per esempio “Old Love/New Love“, inizialmente indigesta per certe frivolezze dell’arrangiamento, in definitiva si rivela più che ascoltabile. Alcune canzoni ben strutturate ci sarebbero pure, ma le penalizza quella veste maledettamente lucida che gli è stata data, troppo distante da un basso e batteria nudi e crudi che sarebbero bastati a farle digerire bene. Sembra che si guardi molto più che in passato a tutto quel mondo di mezzo tra pop e r’n’b ma senza avere le carte (e la sensibilità) per collocarcisi di diritto. Poi ci sono momenti come “I’m Ready” e “Top The Top” in cui il discorso cambia nuovamente: sono ferite al cuore nella misura in cui ci si sente inesorabilmente vicini alla categoria che include cose tipo Fun. e Imagine Dragons. Il passaggio più interessante di Eclipse si chiama “Watch Me Go“. Di per sé è un pezzo che sta su un altro campo minato, ad un paio di metri dalla dubstep più facile, ma rivela ancora una volta le doti di Twin Shadow che qui sputa le sue rabbie a perdita di fiato mentre il martello batte. Una cosa riuscita, anche perché, forse, è così che suonerebbero i TV On The Radio invitati ad un rave. “Half Life” riesce solo in parte a recuperare la solenne lentezza di “Castles in The Snow” (il primo successo di Forget).

Sul pensiero di quel vecchio singolo scende la lacrima fin qui trattenuta. “Castles in The Snow” non va ascoltata, va anche vista attraverso le immagini saggiamente associate: un reportage d’antiquariato sulla scena rockabilly in quel di Sao Paulo negli anni vicini all’80. Una voce solenne, la melodia lenta e potente, quei ragazzi in metropolitana, le loro facce, le loro camminate, la musica, le immagini da VHS sgranato, la semplicità estatica di quel connubio. George Lewis Jr. aveva cose come questa in mano e neanche se n’è accorto.