Zulus – II

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Gli amori non corrisposti, le mutilazioni e la violenza domestica nella mitologia Greca.
“Procne & Philomena”, olio su tela, Hazel Lee Santino, New York 2012.

Basterebbe la metà dell’intensità sprigionata dall’opera riportata sulla copertina del nuovo “II” degli Zulus per descriverne i contenuti. “II” è un’abile produzione di Ben Greenberg (Python Patrol Recording,The Men) mediatore delle menti compositive di Aleksan Prechtl, Daniel Martens, Jeremy Scott e Julian Bennett-Holmes. Quattro individui ex militanti di band quali Battleship, Prsms, The Homosexuals, e Wand. Tutti figli legittimi del punk, del post-garage e dell’hardcore. Gli Zulus presero vita pochi anni fa con l’intento di indossare gli abiti di una pop-band ma dimostrarono chiaramente di non saper affatto scrivere canzoni pop. Il risultato è un disco rabbioso di una ventina di minuti diviso in nove scorie sonore ibride e audaci, dal sapore rupestre e il gusto moderno.

Gli Zulus di “II” abbandonano ogni compromesso popolare e rompono il ghiaccio con l’apertura tellurica di “Revolver III”, rapiscono l’ascoltatore con i ritornelli proto-punk di “Medications” e catturano la sporcizia urbana Newyorkese sulle note hard di “White Virgin” e “Gemini”. Una discesa nei bassifondi underground, tra corruzione asfissiante e rumore all’avanguardia, che dura fino ai quei 120 secondi di spiragli luminosi dell’epilogo “The City’s Vein”.

Abbiamo per le mani un album conciso che fa razzia di positività, un manuale di storia moderna affrontato con la rabbia primitiva del punk made in UK, gli schemi della ribellione noise-blues dei tardi ’80 e gli omaggi ai lamenti No Wave della migliori crisi economiche. In “II” Impera uno spirito compositivo insano e sfacciato, un rituale capitanato dall’imponente voce di Aleksan Prechtl, il vero narratore nevrotico che trascina gli Zulus in un mondo senza sosta e alla ricerca di soli eccessi.