Peaches – Rub

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Che sia sempre stata una lottatrice l’ha dimostrato negli anni, manifestando una certa predilezione per quelle tematiche sociali che spesso si sono anteposte alla musica. Ma questa volta Peaches fa a botte con tutto e tutti. Rub rappresenta un vero e proprio punto di rottura, apice compositivo di quel percorso electroclash avviato nel 1995 con Fancypants Hoodium – a nome Merrill Nisker, quando ancora era una un’insegnante di musica e recitazione di scuola elementare.

Non a caso all’interno del disco risulta totalizzante la presenza un un incessante basso da club, sintomo di una Peaches che decide di estendere la potenza della propria lotta verbale fino alle basi – parliamo di quel basso carichissimo e di quei synth acidi parzialmente anticipati in I Feel Cream (2009). L’iconografia da lottatrice non è casuale. Infatti, il video dell’opener “Close Up” ritrae la nostra nei panni di una “wrestler”, coadiuvata dalla preziosa Kim Gordon – basso, chitarra e voce dei Sonic Youth – che non solo presta la sua voce ma guida Peaches da allenatrice in ogni incontro disputato durante il video.

Un percorso che si dipana promulgando l’impronta elettronica e accompagnandola con i consueti testi urticanti incentrati sull’ideologica uguaglianza di genere (sessuale) fra maschio e femmina. In quest’ottica risulta interessante la modulazione vocale messa in atto in “Free Drink Ticket” con l’intento di generare una tonalità maschile.

Lo scatto arriva nel finale con “I Mean Something“. Evoluzione stilistica che non dimentica le origini e che vede la collaborazione di Feist – artista con il quale condivideva la stanza di Toronto. L’unica linearità seguita dal disco esiste nell’energia che riesce a trasmettere: Rub, Sick In The Head e Dumb Fuck invoglierebbero chiunque a catapultarsi nel primo club in preda agli istinti primordiali che l’artista canadese riesce ad evocare.