Oneohtrix Point Never – Garden Of Delete

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Avete presente le immagini in rotoscoping del primo videogioco di Prince of Persia? L’universo di Daniel Lopatin, aka Oneohtrix Point Never, è forse la sua perfetta trasposizione musicale. In Garden Of Delete, il suo ultimo album, le segrete del castello e i suoi muri altissimi diventano labirinti di suoni, costruzioni mentali che vengono edificate all’interno di un dispositivo elettronico evocativo e visionario.

Lopatin costruisce così un dedalo di segmenti sonori metaforici, di impulsi a intermittenza impazziti che simulano sghembi disegni ritmici. Un vortice di mondi che collimano tra loro in un flusso di alienazione anni Ottanta e ruvidezza sintetica contemporanea.

Rispetto agli album precedenti, Garden Of Delete è più denso, quasi plastico nell’approcciare anche a quelle sonorità più tangibilmente reali, e oscuro, nel seguire velate traiettorie industrial e black metal mentre le distorsioni vocali tratteggiano scenari grotteschi su macerie di droni.

Nell’incontro/scontro tra analogico e digitale, i suoni lottano con la furia incontrollata di Sticky Drama e l’estasi di una vaga reiterazione techno di Mutant Standard, con la propulsione extraterrestre di Animals e gli spettri inquietanti di Freaky Eyes.

Garden Of Delete non è un ascolto alla portata di tutti sia ben chiaro, ma sa stupire come la corsa del viaggiatore straniero di Prince of Persia che deve liberare la sua principessa in un’ora. È uno scrigno zen di allucinazioni bidimensionali e divagazioni tridimensionali. È una trance di caos apocalittico, mentre impulsi sonori generano frammenti di smarrimento.