Hidden Hind – Hidden Hind EP

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Amore. Sogno. Suono. Canto. Notte. Foresta. Nero.

Mi sono promesso di iniziare con le prime parole che mi venissero in mente. E così ho fatto. A dirla tutta, non è stata proprio una scelta casuale. A dirla tutta, a suggerirmele è stato un gobbo targato shoegaze, mentre in testa, ora tintinnanti, ora invece prossime al caos, riecheggiavano le note degli Hidden Hind.

Per chi non lo sapesse, parliamo di cinque ragazzi bresciani, la cui età è compresa nella fascia anagrafica comunemente detta “che bei ricordi”. E il loro disco, composto da appena cinque tracce, rappresenta uno dei più fulgidi, luminosi, abbacinanti esordi che siano mai capitati sulle nostre pagine.

Questo lavoro eponimo degli Hidden Hind, sotto forma di extended-play, riesce a infondere nell’animo dell’ascoltatore quel senso intatto di giovinezza, quell’aura di puro incanto, che solo il romanticismo e la confusione sonora dello shoegaze, da sempre, lasciano intuire al di là della coltre rumorosa. Come se ti afferasse. Come se riaffiorasse.

La voce di Alessandra Testoni, di quelle da preservare, di quelle che fanno esclamare “eureka!”, lascia fluttuare nelle arcate risonanti del suo volto sfere oniriche formato carillon, ma virato al chiaroscuro, accompagnata da una band che sembra ancora acerba, imperfetta, e quindi perfetta. E se “Picture Show” è un brano che avrebbe fatto invidia a Rachel Goswell nel suo “Waves Are Universal”, la seguente “D’s Dream” non gli è da meno, e fin dall’attacco la chitarra ci guida in punta di plettro nella camera dei sogni, dove danzano a braccetto le ombre cinesi di Slowdive e Cocteau Twins.

Giunti alla conclusiva “Worship”, c’è anche tempo per un basso post-punk, e per intrecci vocali e chitarristici degni delle mai abbastanza celebrate The Organ, con annessa, e doverosa, dose di Siouxsie Sioux. Se un giorno a danzare nella vostra camera saranno le ombre degli Hidden Hind, noi vi avevamo avvertiti.

“There’s a shadow on my wall 

 It dances like my soul”

Slowdive“Here she comes”