“Fire!” – She Sleeps, She sleeps

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A tre anni dall’uscita dell’acclamato “Without Noticing”, il sassofonista norvegese Mats Gustafsson torna con un nuovo album intitolato “She Sleeps, She Sleeps”, ancora una volta prodotto dalla “Rune Grammofon”.

Il musicista scandinavo stavolta abbandona la sua orchestra per giovarsi soltanto dell’operato di Johan Berthling al basso e Andreas Werliin alla batteria. Il risultato è un disco nel quale, scavando nelle profondità del free jazz e del progressive, si mettono insieme quattro brani spiccatamente sperimentali.
Questo ritorno ad una formazione ristretta porta con sé una musica più minimalista, in cui l’assenza di chitarre e tastiere crea spazi vuoti, silenzi in cui si inseriscono assoli di basso, batteria e sassofono. Trattandosi di free jazz d’avanguardia vengono meno tutti i canoni estetici di una canzone; più che negli album precedenti Gustafsson si mostra interessato al sangue, al dolore. La title track ne è l’esempio: quel sassofono che graffia e taglia fino ad arrivare alle viscere e di noi ne resta solo la carcassa. Insieme al brano di apertura “ She Owned His Voice”, i due episodi più inclini ad essere definiti Jazz, si trasmette sofferenza e dolore senza alcuna compassione.

Il percorso tra demoni e paure continua con le due tracce conclusive; “She Bid A Meaningless Farewell” è un esercizio stilistico di batteria sperimentale, che parte con un assolo e prosegue con un ritmo a mo’ di marcia – avrebbe potuto accompagnare Michael Keaton nelle sue camminate isteriche in “Birdman”. Nella conclusiva “She Penetrates The Distant Silence. Slowly”, invece, il basso e la batteria assumono sembianze rock, e ci si spinge verso sonorità più post-core senza perdere l’effetto pulp. In questo caso la carcassa che era rimasta diventa pasto per gli avvoltoi.

She Sleeps, She Sleeps” è un album in cui tutto è sovvertito; ritmi, strutture e melodie sono fatti a pezzi per lasciare spazio ad improvvisazione e caos. A ragione, i puristi del Jazz potrebbero storcere il naso e criticare il lavoro da un punto di vista stilistico e prettamente tecnico. D’altronde i “Fire!” ci hanno abituato a dischi complessi, di non facile ascolto, che se non presi nel modo giusto possono non piacere e rivelarsi molto impegnativi. Anche quest’album nella sua ferocia, tra pause e vuoti, riesce a raggiungere l’obiettivo di colpire il nostro stato d’animo, questa volta bene a fondo.