Underworld – Barbara Barbara, we face a shining future

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Era il 2010, gli Underworld fecero il pieno di collaborazioni in un bignami della club-culture made in UK dal titolo “Barking”, ad esso seguì un velato dileguarsi scenico verso un finto prepensionamento. Rick Smith si chiuse in studio per sonorizzare i nuovi montaggi di Danny Boyle, Karl Hyde si mise sotto etere a quattro mani con Brian Eno; tutto lasciava intendere che dei veri Underworld sarebbe rimasto solo e per sempre il ricordo della storica cavalcata “Born Slippy .NUXX”.

Ma finalmente eccoci: siamo all’inevitabile punto in cui la “giovane” musica elettronica pareggia i conti con il rock, quello dell’antico mondo in cui le band si meritano il titolo di evergreen per anzianità e prodezze storiche. Per come si sono messe le cose, Trainspotting è appena diventata la Woodstock dei raver, e il 2016 l’anno dei sentimentalismi di “Barbara” nonché il prezioso ritorno sui dance floor dei quasi sessantenni Underworld.

Uno dei fattori più suggestivi dell’album è la sua visione gioiosa e piena di speranza, come la citazione del titolo stesso, una delle ultime frasi che il padre di Smith rivolse a alla moglie prima di morire, un sentimento che vive lucidamente in ogni brano del disco.

In apertura “I Exhale” e “If Rah” esplorano un territorio familiare agli Underworld, tra geometriche battute guida e le voci ipnotiche di Hyde, “Low Burn” ripercorre il passato del duo di Cardiff tra nostalgia e vitalità irrefrenabile. Un respiro ad occhi chiusi sulla landscape acustica di “Santiago Cuarto” e il disco sfuma lentamente alla volta del pop in un susseguirsi di morbide linee urbane dai colori fin troppo tenui.

Quello degli Underworld è un marchio di fabbrica che non accenna a far ruggine, un futuro forse non così scintillante come indicato dal titolo dell’album, ma un presente consapevole, arrangiato ad alta scuola, una classe indiscutibile a cui portare rispetto e senza la pretesa di rubare il podio da classifica alle strabordanti nuove mode.