Jessy Lanza – Oh No

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Il secondo album di Jessy Lanza va misurato al netto di aspettative molto alte. Il motivo di tanta attesa va cercato in un disco d’esordio esaltante (Pull My Hair Back), nelle collaborazioni d’oro e nell’atteggiamento non sempre decifrabile della canadese. Jessy Lanza sembra una assai sicura di sé ma pare anche diligente fino alla nerditudine. L’oro delle collaborazioni è quello che riluce nelle stanze di Jeremy Greenspan (alla co-produzione), di Caribou (la voce di Jessy su “Second Chance” da Our Love) e di Morgan Geist (il progetto/duo The Galleria). Non bastasse, sia questo lavoro che l’album precedente sono usciti su Hyperdub, a garantire che non si scherza più di tanto. E la scuola Junior Boys (dei due, Greenspan è quello barbuto e sovrappeso) ha fatto evidentemente la sua parte, così che il suono di Oh No resta ben sintonizzato con l’elettronica raffinata dei due concittadini (from Hamilton, Ontario).

In un naturale evolversi delle cose capita che questo lavoro sia ben più frizzante del primo (si prenda “VV Violence”). La stessa cosa era accaduta pochi mesi fa con Big Black Coat dei Junior Boys: anche quello un lavoro dai toni più alti rispetto al loro materiale precedente. Ma il sospetto del “chi stia influenzando chi” ci porterebbe fuori strada perché probabilmente è il contesto nel suo intero ad aver indicato quella via. Per contesto intendiamo quell’area vasta che dall’elettronica va fino all’R’n’B, toccando soluzioni più dinamiche (teniamo presenti Empress Of o Abra, pur nelle loro differenze). Così la leggerezza di Oh No, il ritmo che sale di alcune cifre, il cantato sbarazzino come quello di una Madonna che fu (“Never Enough”) o di una Grimes (citiamo ancora l’emblematica “VV Violence”), concorrono a ridefinire un approccio che oggi cerca il movimento, oltre che l’ascolto attento. In effetti, Oh No ce lo saremmo aspettato più quadrato e algido, magari anche più composto e addomesticabile. E forse più carico di quell’adorabile malinconia inesplosa che conosciamo. Invece sembra rimbalzare anche fuori dal (nostro) controllo: provoca, luccica, punta ulteriormente sul piano ritmico e ancora meno sul versante melodico.

Poi arrivano le due tracce finali che invertono di nuovo il discorso. “Begins” e “Could Be You”, lente e dalle melodie inafferrabili, attaccano le caviglie invece di solleticare. Soprattutto l’ultima che, azzardando il paragone, sembra un corrispettivo digitale di “Everybody Here Wants You” di Jeff Buckley. Rarefatta e atmosferica, rispetta comunque le regole di Jessy Lanza: il battito davanti e la voce di lato.