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1980 | 4ad |
In The Flat Field è davvero un album storico. Uno di quelli che nel passaggio dagli anni ’70 agli ’80 gettò le fondamenta del movimento Dark più puro, quello figlio del minimalismo sonoro Punk e fortemente debitore all’ultimo David Bowie e a Iggy Pop.
“In The Flat Field” è l’esordio degli inglesi Bauhaus, un gruppo capace di esplodere raccogliendo ampi consensi nella ricca scena underground UK grazie al singolo dell’anno precedente rimasto nella storia del genere: l’inquietante “Bela Lugosi’s Dead” – che valse loro il contratto con la Beggar’s Banquet.
Artwork semplice ma d’impatto: una foto in bianco e nero di nudo maschile, solo il nome del gruppo su sfondo nero, grezzo, ma efficace. Come il sound del resto. Le chitarre ultradistorte di Daniel Ash, il basso ossessivo di David J, le percussioni punkeggianti di Kevin Haskins e la voce teatrale e sinistra di Peter Murphy formano il Bauhaus sound, che troviamo nella re-release rimasterizzata e con l’aggiunta di tantissime bonus tracks: a partire dalla prima traccia!
Già, perché “In The Flat Field” non incominciava con “Dark Entries” – il secondo singolo della band –, pezzo Dark Punk dal piglio aggressivo e ottima entré per il resto dell’album. Con la successiva “Double Dare” però, tutto cambia radicalmente: lenta e cadenzata, rappresenta una delle canzoni più oscure e sinistre dell’intera epopea Dark. Un mantra oscuro nel quale le continue, monotone distorsioni di Daniel accompagnano i diabolici inserti vocali Peter – perfetto nella parte del Grand Guignol.
Uno spettrale giro di basso, nell’omonima “In the flat field”, accompagna i nostri per tutta la durata di un brano che definire “memorabile” sarebbe eufemistico. Urla disperate e chitarre stridenti completano un canovaccio che rappresenta la perfetta colonna sonora dell’incubo. “God in an Alcove” unisce follia ed ironia grazie all’ottima interpretazione di un Murphy, che qui sembra voler irridere il proprio pubblico. Mentre “Dive” mette in luce le radici Punk del gruppo – Peter sembra divertirsi nel fare il verso nientemeno che a Johnny Rotten.
Il dramma messo in scena in “The spy in the cab” si dipana sopra un tappeto di synth che ne enfatizzano l’atmosfera notturna, malinconica, disperata a tratti. “Stigmata Martyr”, forse il pezzo più sinistro dell’intero album sarà utilizzata in seguito per musicare la macabra scena di ballo di “Angela” nella pellicola Night of the Demons di Adam Gierasch.
Nella versione rimasterizzata troviamo inoltre un bel po’ di bonus tracks: le cover “Telegram Sam” dei T.Rex di Marc Bolan (altro idolo del gruppo) e la nerissima “Rosegarden Funeral of Sores” di John Cale; il singolo “Terror couple kill colonel”, primo exploit commerciale nel 1982, che entrò nella top 60 dando una certa notorietà alla band, le due brevi “Scopes” e “Untitled”, ma soprattutto “Crowds”, una malinconica e amarissima ballad che comparve solo come B-side ma divenne poi uno dei brani più amati del combo inglese. Questa è storia.