Meshuggah – The Violent Sleep Of Reason

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Come consolidarsi in “25 anni di devianze musicali”, parafrasando il titolo del monumentale box pubblicato a fine estate dalla Nuclear Blast: opera omnia dei cinque svedesi dal cuore di ghiaccio. Un lavoro che riassume primo quarto di secolo dei Meshuggah, sottolineandone l’imponenza stilistica ed il peso specifico come nuova unità di misura nei confronti del mondo Metal – e del Rock in genere.

“Devianza”, dizionario alla mano, sarebbe: “Il termine usato per indicare quei comportamenti che si allontanano da una norma o da un sistema di regole”. Intolleranti alla consuetudine insomma. Del resto, la musica dei Meshuggah si può felicemente riassume attraverso queste parole, in antitesi a quella “consuetudine” compositiva che detta spesso le leggi della musica estrema.

Per coloro i quali seguono la band dagli albori, con devozione e massimo rispetto (come chi vi scrive), risulterà essenziale considerare il lavoro di rinnovamento svolto dalla band attraverso album magnifici come “Chaosphere” (1998), “Catch-33” (2005) ed “I” (2004).

E possiamo dirvi fin da subito che le incertezze emerse con il precedente deludente “Koloss” sono state superate. “The Violent Sleep Of Reason” riflette inevitabilmente il lavoro svolto begli ultimi 25 anni di attività: anni in cui i Meshuggah hanno saputo plasmare la materia Metal partendo da un Tech-Thrash non propriamente usuale (Prong), arricchendola anno dopo anno, album dopo album, con elementi che da un lato ne consolidano le caratteristiche iniziali – le chitarre ultra Heavy dei Pantera, lo Sci-Fi Cyber Metal dei Fear Factory – e dall’altro innescano la bomba della sperimentazione. Come? Bhe, ficcandoci dentro elementi assolutamente innovativi, come le ritmiche sincopate tipiche degli ensamble Free-Jazz, o le chitarre schizoidi e cerebrali dei King Crimson di Robert Fripp – periodo Belew.

Rabbia controllata, claustrofobia organizzata e ritmiche incessanti: “The Violent Sleep Of Reason” ci riporta in quel non-luogo della mente in cui ad occhi sbarrati si attende un cataclisma bestiale, apocalittico, figlio di un futuro incerto e perfettamente calcolato. Pensiamo all’opener “Clockworks“, in cui la batteria di Tomas Hakke e il basso di Dick Lövgren ricamano intricatissime partiture “free” su un tessuto chitarristico sincopante – Fredrik Thordendal e Mårten Hagström –, in un continuo di sorpassi, implosioni ed esplosioni. E bissiamo con “Born in dissonance“: un gigantico blocco di cemento e metallo dalle proporzioni smisurate che penzola nel vuoto mentre il growl di Jens Kidman lo scalfisce inesorabilmente.

Al di là di ogni giudizio soggettivo, possiamo affermare con tranquillità che: se da un lato i Meshuggah targati 2016 nulla aggiungono a quanto già precedentemente proposto,  dall’altro si sono saputi consolidare con intelligenza e dignità. Consolidamento che a conti fatti sembra non un limite personale ma quasi un dovere nei confronti di tutti gli appassionati che in 25 anni non hanno mai smesso di seguirli. E a conti fatti mai smetteranno.

Data:
Album:
Meshuggah - The Violent Sleep Of Reason
Voto:
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