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24 Marzo 2017 | Bronze Rat Records |
Jon e Cristina descrivono la loro come una vita ciclica. Come il Rock. Giorni di sole, pioggia, gioia, dolore, bambini, sbronze solenni, letargo e rinascita. In mezzo a tutto questo il suono. Imprescindibile componente per loro, come per chiunque ami realmente viverlo, alla faccia di chi: “Qua è tutto già stato fatto, é ora di darsi ai canti Gregoriani“. Un discorso bizzarro quello votato alla continua ricerca d’innovazione, che spesso cela un flebile amore, di comodo.
Il gioco è questo. Le note sono sette. Come del resto quel campo da calcio che tanto amate è rettangolare – inutile Messi, c’è già stato Maradona (Ndr). Il punto è tutto qui, nella materia in oggetto, nell’anima che ci si mette dentro. La coppia la conoscete, ma vale la pena ricordare che qui dentro ci troverete due reverendi assoluti della New York musicalmente lasciva d’inizio novanta. Jon Spencer e Cristina Martinez – più Hollis Queens (batteria, voce), Jens Jurgensen (basso) e Mickey Finn (tastiere) –, dopo anni di letargo tornano con l’atteso follow-up di Whiteout (1999, City Slang), ed il loro è un tempismo perfetto.
Dopo una pausa di nove anni, in cui la Martinez si è dedicata al piccolo Charlie – il figlio della coppia –, la band ha eseguito sporadici spettacoli dal vivo nel 2009, prima di tornare sul serio lo scorso anno con l’Ep Brood Star. I tempi sono oggi maturi, e la partecipazione alla compilation anti-Trump “Battle Hymns” – in cui oltre alla loro “Save Our Soul” compare Stephen Malkmus e membri di Superchunk e Sleater-Kinney –, sancisce di fatto un ritorno importante.
Il nuovo “Brood X” si presenta didascalico fin dal titolo, come dire: “ci abbiamo messo diciotto anni ma alla fine eccoci qua“. E la band introduce il tutto con un grido di battaglia più volte ripreso dalle recenti interviste:
«Brood X è musica per tempi difficili, la colonna sonora per una rivoluzione necessaria»
Quanto ci sono mancati. Nello specifico quel suono, ai tempi ribattezzato Pig-Fuck, capace di mescolare con maestria Funk, Punk e Blues. E li ritroviamo in grande forma. Anche se, da questo punto di vista, avevamo pochi dubbi – parliamo pur sempre di gente che viene da Pussy Galore e Blues Explosion.
Brood X è un disco vizioso, trasgressivo, anticonformista e pregno di quella sessualità selvaggia che solo poche altre band sono riuscite ad eguagliare, figuriamoci superare – forse solo i Cramps del compianto Lux Interior. I temi poi sono quelli della battaglia su tutti i fronti. Tagliente come non mai, la band Newyorkese ci racconta fin dall’incipit (“Billy“) i cambiamenti e le consuetudini che permeano le dinamiche di potere.
“Out of the darkness
Out of the wood
Into the street light
Into the wild
Billy’s on sale
He’s on the cheap”
– da “Billy”
La voce abrasiva della Martinez non ha perso un grammo del proprio smalto; lei, gatta selvatica da palcoscenico mentre si avvinghia all’inguine del Blues-Rock dalle tinte Punk – rappresentato dalla figura di Jon Spencer, forse l’ultimo grande interprete di questa nicchia –, chiedendo redenzione (“Elevator“).
Parliamo di un duo capace di sprigionare una quantità di carica ormonale fuori dal comune, usufruendo della medesima formula (“Formula X“) dei padri del Blues, poi promulgata per certi versi dai nipoti Punk e che comunemente riconosciamo con quattro lettere: Rock.
Non sarete mai troppo vecchi giovani per seguire gli istinti. Nel caso, cambiate aria. Il discorso è di quelli per cui vale il prendere o lasciare. Fa parte di voi, e forse quella colonna vertebrale in copertina potrebbe essere la vostra, se solo vi lasciaste andare. Come per la fede, ma molto più divertente.