The Black Keys – thickfreakness

Acquista: Data di Uscita: Etichetta: Sito: Voto:

Ragazzi che botta questo disco!!!!!! Un vero pugno nello stomaco che certamente mieterà non poche vittime tra i puristi del blues (anche se parlare solo di blues in questo caso è davvero limitativo) ma che farà la gioia di tutti coloro che sono attratti dalle cose nuove,che amano gli artisti con il coraggio di osare. Ma in fondo questa è sempre stata la caratteristica peculiare della Fat Possum, etichetta che produce questo interessantissimo duo formato da Dan Auerbach (chitarra e voce) e Patrick Carney (batteria), due ragazzi bianchi poco più che ventenni ma che dimostrano gia una grande personalità artistica.
Prima di analizzare a fondo questo “thickfreakness” (da scrivere rigorosamente in minuscolo) facciamo un passo indietro: Nel corso degli anni la label del Mississippi ha sempre puntato su artisti atipici nel mondo del blues, gente come R.L. Burnside, Cedell Davis, T-Model Ford, Junior Kimbrough, tutti innovatori, sperimentatori di nuove sonorità restando però sempre ben ancorati alle radici della musica del diavolo. Nel 1997 la fat Possum pubblica “Takes One To Know One” primo ( e purtroppo finora unico) disco di un duo formato da Elmo Williams e Hezekiah Early, chitarra elettrica rigorosamente distorta, batteria suonata con la violenza di una band hard rock e voce roca e intrisa di alcool per un blue anomalo e selvaggio, quasi un punk blues. I due interpreti erano degli ex contadini del sud ormai ultrasesantenni e se vogliamo proprio da loro parte il progetto “The Black Keys”, quel disco riscosse un ottimo successo di critica e fu molto apprezzato dai fan del genere. Probabilmente in casa Fat possum hanno capito che questo suono poteva avere un futuro e si son messi a cercare fin quando hanno scovato i due musicisti originari di Akron Ohio (reduci dall’ottimo risultato del loro primo album “The Big Come Up”) e su di loro hanno puntato ad occhi chiusi. Beh direi che hanno fatto davvero bene visto il risultato: Dan e Patrick prendono il blues del Delta e lo reinvestano e modellano a modo loro, lo mischiano con i generi più disparati creando un sound davvero unico, un punk blues psichedelico potremmo definirlo. La chitarra distorta all’inverosimile, batteria sorda e ossessiva, e la voce nera e profonda di Dan creano un vero marchi di fabbrica. In loro possiamo trovare le influenze più varie da Junior Kimbrough a Muddy Waters fino a Burnside per Dan, Ginger Baker e John Bonham per Patrcik, il tusso sapientemente mescolato e dosato nelle giuste dosi.
Il disco si apre alla grande con la title track, un inizio travolgente come la seguente”Hard Row” che nella parte iniziale sembra uscire direttamente dal repertorio dei Led Zeppelin. Grande assolo iniziale di batteria per “Set You Free” che poi si sviluppa con tutta la sua travolgente potenza per un “hard blues” davvero efficace. Sono presenti anche un paio di cover una di Kimbroug e una di Richard berry, entrambe davvero irriconoscibili; Proprio “Everywhere I Go” del grande Junior è uno dei brani che preferisco, ipnotica come Kimbroug, psichedelica come Hendrix, tagliente come i Led Zeppelin il tutto riproposto in chiave Fat Possum, uun vero piccolo capolavoro. Altro grande brano è la seguente “ No Trust”, altro brano hard dotato di una grande potenza. Il suono che questi due ragazzi creano ci fa dimenticare che si tratta di un duo, sembra una band intera, nella loro musica non ci sono pause, non c’è monotonia, le songs sono tutte belle e in certo senso differenti tra loro. A Tratti sembra di udire echi addirittura dei Doors!!!
Come detto all’inizio forse i puristi del blues storceranno un po’ il naso davanti a questo lavoro ma a parer mio è questo il sound del futuro per la “musica del diavolo” e poi ogni innovazione derivante dal talento e dalla voglia di osare fa sempre bene alla musica tutta. Da tanti anni ormai la Fat Possum si è fatta portabandiera di questo nuovo modo di concepire il blues, la forza della tradizione unita alle sonorità moderne, l’amore per la tradizione e la voglia di sperimentare nuove sonorità. Dischi come questo ci fanno anche capire che mentre i suoi figli si dibattono tra mode passeggere e imposizioni del mercato venendone a volte strangolati il blues è ancora vivo e vegeto e pure in perfetta forma nonostante abbia passato da un pezzo il secolo di vita la “musica del diavolo” sembra non aver voglia di fermarsi, il mondo della musica si evolve in fretta,nel giro di pochi anni interi movimenti musicali passano dalle stelle alle stalle ma il blues è sempre li, perché il blues è immortale e i The Black Keys lo hanno nel sangue.