Grandaddy – Sumday

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Non sono in molti oggi a poter vantare un en plein qualitativo di quattro dischi su quattro, dove il successivo rappresenta sempre l’evoluzione del precedente. I californiani indie rockers Grandaddy con la loro miscela di pop-rock raffinato e leggera psichedelia d’annata sembrano non sbagliare un colpo e, dopo l’osannato “The sophtware slump” risalente ormai a tre anni fa, con questo “Sumday” affilano se possibile ancor di più la loro proposta senza smentirne i contenuti fondamentali. Testi a sfondo politico, rilassati mid tempo’s, synth gentili ed ariosi, chitarre che odorano di una concezione tecnologica superata ma mai obsoleta o inopportuna sono gli ingredienti usati dai nostri, molte volte sembra di assistere ad una versione aggiornata di Neil Young, o ad una rilettura dei Beatles più maturi. E’ evidente inoltre in questo nuovo disco una certa inclinazione verso tentazioni da classifica, in particolar modo nel primo trittico di brani, forti di ritornelli accattivanti ma non banali costruiti su pulsanti e coinvolgenti basi d’estrazione indie. Già con “The group who couldn’t say” si cominciano a respirare atmosfere più ricercate e particolari, mentre “Yeah is what we had” si pone come uno degli episodi più riusciti del disco tra saturazioni chitarristiche che scivolano in dilatati sogni psichedelici raccontati da una voce soave e perfettamente incastonata. La successiva “Saddest vacant lot in all the world” è l’ennesima prova di classe e di raffinatezza che i Grandaddy amano dimostrare senza cadere in pacchiane soluzioni tipiche dei gruppi progressivi di oggi: il crescendo che vi porterà a chiudere gli occhi sul finale del brano è letteralmente da brivido. Il disco si conclude con due autentiche gemme soft rock, “The warming sun” e “The final push to the sum”, dove estro e malinconia si incontrano su territori onirici che conquisteranno chi ha amato la geniale ingenuità di Syd Barrett, davvero due brani che non conosceranno l’usura del tempo ma che al contrario amerete riscoprire di volta in volta in tutta la loro fantastica carica emotiva. Dolcezza, melodia, piccole dosi di sarcastica ironia ma anche coraggiosa voglia di andare oltre i classici stereotipi, confermano la band californiana come una delle compagini più interessanti in un panorama inflazionatissimo come quello indie rock odierno, con un disco perfetto nelle sue forme e straordinario nella sua sostanza.