Pink Floyd – The Wall

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Il tour di supporto ad “Animals” vide i Pink Floyd misurarsi per la prima volta con concerti in enormi arene stracolme, stadi da 100.000 persone scatenate a serata, e se questo da una parte significava ricchezza e notorietà dall’altra rovinava l’intento storico di un gruppo come i Pink Floyd, vale a dire quello di emozionare ogni singolo spettatore con atmosfere rarefatte e ipnosi musicale che prevedeva l’applauso solo alla fine dell’esecuzione e il silenzio assoluto durante la performance. Si può dire che il primo mattone nel muro venne collocato durante il concerto di Montreal del 1977, dove un fan posizionato non distante dal palco irritò Waters a tal punto che venne preso di mira dal bassista con tanto di sputo in piena faccia. “Mirai bene perchè lo colpii in pieno volto. Era lì solo per far casino e bere birra e non era minimamente interessato alla nostra musica”: questo il commento a sua discolpa da parte di Roger Waters. L’ episodio in realtà lo scioccò e lo rese definitivamente consapevole della presenza di un muro tra lui e il suo pubblico, un muro invalicabile di incomunicabilità che non permetteva alla sua musica e ai suoi messaggi di arrivare dove una volta riuscivano, e che lo avevano reso qualcosa di molto simile ad un autoritario e violento despota che odiava il suo pubblico. Consapevole di questo Roger Waters si chiuse nel suo studio casalingo e cominciò a lavorare su dei demo che sviluppassero temi legati all’incomunicabilità, all’alienazione, all’assenza, alla follia, soggetti per altro già affrontati in passato ma che stavolta dovevano essere legati da una storia con protagonista una rockstar sull’orlo di una crisi di nervi, che ripercorresse la sua vita sin dall’infanzia, orfana del padre caduto durante la seconda guerra mondiale, e dai tempi della scuola elementare e in cui trovassero spazio anche riferimenti alle vicissitudini di Syd Barrett, esempio universale di rockstar impazzita per colpa del “sistema”. Il famoso produttore Bob Ezrin fu presto della partita, espressamente chiamato per conferire all’opera uniformità e scorrevolezza, sia da un punto di vista lirico che musicale. I primi demo di Waters si dice che erano molto rozzi e confusi, e una volta esaminati da Ezrin e da Gilmour (unico degli altri Floyd a partecipare attivamente al progetto, Mason e Wright si concessero in quel periodo un agiatissimo pre-pensionamento), vennero drasticamente ritoccati e molte delle canzoni contenute semplicemente eliminate, sempre per mantenere un livello accettabile di organicità. “The wall” rientra quindi nella categoria dei concept album, legati cioè da un tema unitario che viene sviluppato nell’arco della sua durata. Può essere tranquillamente considerato come un lavoro solista di Roger Waters, tant’è che si vocifera che uno dei motivi per cui fu utilizzato il monicker Pink Floyd, in quanto garantiva un richiamo maggiore rispetto ad un meno risonante “Roger Waters”, fu per risolvere i guai finanziari della Pink Floyd Music Ltd., vittima di una truffa di un consulente finanziario. Tecnicamente è un’opera rock studiata fin nei minimi dettagli, con tanto di orchestra diretta da Michael Kamen, il quale in futuro collaborerà con Queensryche e Metallica, ed un massiccio uso di effetti sonori che sono parte integrante dell’opera e ne rappresentano uno dei marchi di fabbrica. Musicalmente è composto da pochissime canzoni organiche e molte canzoni-non canzoni, vale a dire intermezzi che hanno senso solo se ascoltati nel loro contesto (“Is there anybody out there?”, “Bring the boys back home”, “Vera”, solo per citarne alcuni) e pertanto studiate ai fini dell’ economia tematica del concept. Contiene due tra le più belle canzoni mai scritte dai Pink Floyd, “Hey you” e “Comfortably Numb” (ripescata da dei demo di Gilmour per il suo omonimo album del 1978), ma in tutto il disco è evidente che molta della grazia e della solennità contenuta nei dischi precedenti è andata perduta a favore di tonalità scure ed oppressive che sono però in perfetta armonia col messaggio che l’autore vuol comunicare. Molti dei fans di vecchia data non amarono questa variazione nel sound, i cui motivi vanno ricercati soprattutto nell’impiego solo part time di Rick Wright, uno dei principali artefici delle magnifiche atmosfere di “Dark side of the moon” e di “Wish you were here” con i suoi eterei organi e pianoforti, e alla presenza dello scaltro Bob Ezrin in cabina di regia, abilissimo nel sedurre gli ascoltatori con sonorità che rasentano talvolta il pop (Another brick in the wall part 2). The wall è un concept album non solo nell’aspetto lirico ma anche nella ripresa di temi musicali, come nel caso dell’inciso di Another brick in the wall che torna, oltre nelle 3 parti in cui essa è divisa, anche in “Hey you” come tappeto sotto il solo chitarristico di Gilmour, in “Waiting for the worms” e in “The trial”. Finezze tipiche del repertorio floydiano. Uscito il 30 novembre del 1979, “The wall” è secondo in vendite solo a “Dark side of the moon”, ma se si considera la minor consistenza del mercato dei doppi album, possiamo virtualmente considerarlo come il disco di maggior successo dei Floyd anche se non il più bello o il più rappresentativo.