Pistoia Blues 2003

SABATO
12

Anche quest’anno come capita ormai da ben 24 anni il popolo del
blues si da appuntamento a Pistoia per 3 giorni dedicati alla musica
del diavolo, naturalmente il vostro BluesMaster non poteva mancare all’appuntamento.
Purtroppo non ho potuto presenziare alla prima serata per cui il mio
resoconto si riferirà ai concerti di sabato 12 e domenica 13
luglio: Si parte sabato mattina di buon’ora affrontando le interminabili
code dei vacanzieri del week end; Il mio compagno di viaggio è
mio zio Piero, questa è la forza del blues il saper unire generazioni
differenti ma accomunate dalla stessa grande passione per questo intramontabile
genere musicale. Gli oltre 400 km che ci separano dalla cittadina toscana
passano comunque abbastanza velocemente tra chiacchiere musicali e discussioni
impegnate. Dopo una doccia ristoratrice e un bel pranzo tipico ci avviamo
verso piazza del Duomo luogo dove si tiene il festival. Le vie del centro
sono piene zeppe di bancarelle e il popolo del blues è più
colorato e informa che mai. Dopo le esibizioni delle band vincitrici
del concorso “Bluesin” organizzato per promuovere i gruppi
emergenti italiani il festival entra nel vivo con l’esibizione
di Eric Bibb. Il cinquantenne
musicista di New York è in buona forma e ci presenta il suo blues
semi acustico. Eric è dotato di una ottima voce calda e profonda
e la sua chitarra acustica detta bene e il tempo delle song dal sapore
folk lasciando però il giusto spazio alle sfuriate elettriche
della band che lo supporta ottimamente. I Brani proposti sono tratti
principalmente dal suo ultimo cd “Natural Light”, disco
a forti impronte folk che si ispira molto alla lezione di Mississippi
John Hurt. 40 minuti circa di blues di grande
livello. Segue una piccola pausa e poi è il turno di Otis
Taylor
. Ero molto curioso di vederlo dal vivo dopo essere
stato parecchio colpito dai suoi dischi. Otis è un grandissimo
compositore e la sua musica è davvero innovativa in campo blues.
Un sound dai tratti ipnotici sostenuto dalla voce molto espressiva e
dalla sua ottima tecnica di chitarrista e armonicista. Purtroppo devo
dire che la sua esibizione mi ha deluso non poco. I motivi a mio avviso
sono principalmente due: La scelta dell’organizzazione di farlo
suonare alle 19,45 circa con il sole ancora alto è il primo.
La sua è una musica molto suggestiva a tratti quasi psichedelica
e richiede la giusta atmosfera per essere apprezzata a pieno. Il secondo
e più importante è la scelta fatta da Otis stesso di presentarsi
con una formazione a 3 in cui oltre alla sua chitarra elettrica (lui
che di solito suona l’acustica e il banjo) si aggiunge la seconda
solista e il basso anch’esso elettrico. L’aver eliminato
la batteria e non aver mai suonato l’armonica ha reso lo spettacolo
piuttosto monocorde fino a diventare quasi pesante. A poco sono serviti
i virtuosismi alla chitarra dell’ottimo Eddie Turner e la comunque
ottima prova vocale di Otis. Discutibile anche la scelta di presentare
i brani dal suo ultimo e nuovissimo album (uscito solo pochi giorni
prima) che praticamente nessuno dei presenti (compreso il sottoscritto)
conosceva, questo ha ridotto al minimo la partecipazione del pubblico.
Insomma le attenuanti ci sono e il mio rispetto per Otis Taylor è
rimasto immutato ma la delusione c’è comunque stata, peccato.
Cala la sera sulla piazza del Duomo ormai piena all’inverosimile
e il clima comincia a surriscaldarsi
quando entrano in scena i
Dr.
Feelgood
.
La formazione con cui si presentano è la stessa dell’ultimo
periodo della band. Kevin Morris alla batteria, Phil Mitchell al basso,
Steven Walwyn alla chitarra e Robert kane alla voce e all’armonica.
La band inglese è attiva ormai da oltre 25 anni ed è sempre
stata celebre per i suoi infuocati live show per cui le premesse per
assistere ad un bel concerto ci sono tutte. La band infatti sale sul
palco e sfodera subito il suo infuocato blues a forti tinte R&R.
Kane è come al solito a dir poco vulcanico, corre e salta come
un grillo da una parte all’altra del palco mentre Walwyn spara
assoli lancinanti in continuazione intavolando debordanti duelli con
l’armonica di Kane. La band sfodera tutti i classici del suo repertorio
raggiungendo l’apice con “Down at the Doctor” col
pubblico che canta all’unisono il ritornello e Kane che scatta
fotografie alla folla entusiasta. Sempre coinvolgente il classicissimo
“Got my Mojo Workin” che praticamente ogni amante del blues
conosce come le sue tasche con l’armonica grande protagonista.
Bellissima anche “Back in the Night” lunghissima e adrenalinica
come poche che chiude un’ora di spettacolo davvero entusiasmante.
Da questo momento in poi vado in trans perché il prossimo artista
a salire sul palco sarà Johnny
Winter
. Non nego che proprio lui è il motivo
principale che mi ha spinto ad andare al Pistoia Blues festival. L’attesa
è lunga quasi 40 interminabili minuti, la folla reclama Johnny
sul palco e quando finalmente verso le 22,30 il chitarrista albino si
presenta a noi ho sentito come una morsa al cuore.
Johnny cammina a fatica sorretto dal bastone, è ormai pateticamente
cieco e afflitto da un brutto male. Ammetto che appena l’ho visto
in me ,oltre alla pena enorme, si è insinuato il dubbio che non
fosse più il fantastico mago della sei corde che tanto ho amato;
troppo provato dai tanti anni di abusi per una vita dedicata da sempre
totalmente alla musica. Ma quando si è seduto sulla sedia che
gli hanno approntato in mezzo al palco e ha cominciato a far scorrere
le dita sulla sua axe è stato come se il tempo si fosse fermato.
Nonostante tutti i guai la sua maestria alla chitarra è rimasta
sempre la stessa, sono bastate poche note per far passare ogni dubbio.
Certo la voce ormai è poca e Johnny la dosa bene relegando spesso
le parti vocali all’armonicista. La band che lo accompagna è
di grande livello e svolge alla grande il compito di sorreggere Winter
ormai (purtroppo) non più in grado di tenere il palco come una
volta. Io ero praticamente in prima fila a non più di 3 metri
da lui e sono rimasto rapito dalla sua tecnica, velocissimo e precisissimo
con la mano sinistra mentre con il solo pollice destro pizzica lentamente
le corde. Con gli occhi sempre chiusi Johnny suona come solo lui sa
fare e stranamente fa quasi tutto il concerto con l’elettrica
normale, lui che è il re della slide, dimostrando che sa suonare
in modo sensazionale in qualsiasi stile e tecnica. I brani proposti
sono tutti dei classici blues a cavallo tra lo stile texano e quello
di Chicago che fa pensare ai tempi gloriosi di Hard Again il suo capolavoro
con Muddy Waters. Dopo poco più di un’ora il concerto sembra
finire quando il sindaco di Pistoia sale sul palco per consegnarli il
premio alla carriera. Johnny fatica ad alzare la targa tanto è
il tremore delle sue braccia ma non nega al pubblico che lo ama una
paio di grandi bis; Imbraccia la sua Gibson Flyng anni 60 e si cimenta
alla slide nei suo classici: Prima “Johnny Guitar” e poi
“Highway 61” entrambe cantate da lui con la potenza che
lo ha sempre contraddistinto. Il suo assolo nel brano di Dylan è
qualcosa di ultraterreno, fa scorrere il bottleneck sul manico della
chitarra con una naturalezza e una velocità impressionanti. Sarà
vecchio e malato ma il re della slide rimane sempre lui. Dopo i due
classici Johnny saluta e se ne va. In noi appassionati rimane un grande
ricordo e la triste sensazione che forse questa è stata l’ultima
volta, l’ultimo ruggito del grande leone, il popolo del blues
riserva un interminabile applauso ad uno dei suoi più grandi
interpreti, un ringraziamento che viene dal più profondo del
cuore per questo esile sessantenne malato e stanco ma sempre fenomenale
quando fa quello per cui ha sempre vissuto, suonare la chitarra.
Siamo
così giunti al evento clou della serata, l’esibizione di
Robert Plant. Il palco
viene approntato in fretta e furia e dopo una ventina di minuti parte
un intro in stile orientale; La band sale alla spicciolata sul palco
e mi sorprendo notando che al posto del basso elettrico verrà
usato il contrabbasso, questo promette molto bene. Il gruppo inizia
a suonare e dopo un minuto Robert lentamente compare da dietro la batteria,
ovazione generale. La voce è un po’ cambiata rispetto ai
tempi degli Zeppelin, prende un po’ meno le note alte ma ne ha
guadagnato in espressività, scelta intelligente la sua: Invece
di far male le canzoni le reinvesta adattandole alla sua voce di ulktracinquantenne.
Come suo solito ciondola e balla le sue danze ipnotiche mentre la band
pesta che è una meraviglia e Justin Adams alla chitarra è
davvero fantastico. Plant scava nel glorioso passato ripescando “Goin
to California”, “Ramble On”, “Darkness Darkness”
intrattenendo il pubblico con l’esperienza di quel grande veterano
che è. Sa dialogare con la gente e ripete in continuazione “mi
seguite?”. Dopo circa un’ora la band lascia il palco poi
Robert rientra da solo, prende il microfono e dice.” Questo è
un festival blues…dunque blueeesss” e attacca il rif intramontabile
e fantastico di “Whole Lotta Love”, l’entusiasmo è
alle stelle. La versione è molto lunga e psichedelica e la sua
interpretazione vocale è degna dei tempi d’oro dei Led
Zeppelin. Purtroppo questo è l’ultimo brano a cui segue
la premiazione da parte del sindaco e il saluto alla folla che lo osanna.
Sinceramente avevo dei dubbi sulla qualità del concerto di Robert
Plant e sullo stato della sua ugola. Dubbi spazzati via da una performance
straordinaria per qualità ed intensità, anche la band
non è più un insieme di comprimari a supporto del leader
ma un vero gruppo con delle ottime individualità. Con l’esibizione
di Plant si conclude la giornata di sabato che devo dire è stata
davvero di ottimo livello.

DOMENICA
13

Sotto
un sole caldissimo si apre la terza e ultima giornata del Pistoia Blues
festival 2003. Il programma prevede al mattino, con ingresso gratuito,
lo show di
Nick
Beccatini

per cui alle 12 circa siamo puntuali in piazza del duomo. Si parte con
l’esibizione di alcune delle band giovani (sul cui valore e sui
criteri di scelta ci sarebbe da discutere ma preferisco evitare), prima
di una mini performance del tutto improvvisata di Ike Turner che fa
presagire molto bene per il concerto in programma in serata. Verso le
13 inizia lo spettacolo del talentuoso chitarrista toscano, con lui
è presente sul Palco anche Andrea Braido e la band dei Twin Dragons
al completo. I brani eseguiti sono alcuni tra i più celebri classici
del blues come “Ain’t Supersticious” e “Mannish
Boy” con Nick protagonista assoluto autore di assoli mozzafiato,
il ragazzo ha talento da vendere e d il pubblico apprezza. Verso le
13,45 lo spettacolo si chiude e noi ci avviamo al ristorante dove nel
pomeriggio veniamo raggiunti dal nostro “psichedelico” Syd
con cui trascorriamo un paio di ore molto piacevoli bagnate da dell’ottimo
vino rosso. Il programma odierno è molto intenso infatti l’inizio
dei concerti è previsto alle 17. La prima band ha salire sul
palco sono i Twin Dragons;
La scaletta è più o meno la stessa suonata al mattino
con Nick Beccatini ma in
questa occasione abbiamo la possibilità di apprezzare tutta la
maestria tecnica di Andrea Braido che in mattinata aveva giustamente
lasciato spazio al più giovane collega, ho apprezzato molto anche
il lavoro del cantante e bassista della band Nathaniel Peterson dotato
di una voce molto potente e profonda davvero adatta per il blues, bravo
anche Fabio Malfi dietro le pelli. Davvero una bella realtà questa
band. Questa sarebbe dovuta essere la serata di Gary Moore ma l’irlandese
ha annunciato che per problemi personali non potrà partecipare,
peccato che invece si è scoperto che ha preferito suonare a Montreaux,
festival con un budget nettamente più elevato di questo. Poco
male ho sempre avuto molti dubbi sulla “genuinità”
di Gary e li vedo tutti confermati. Torniamo ora ai concerti: Dopo Braido
e soci è la volta di un amico di RockLab il nostro Tolo
Marton
accompagnato dai Lost Iguanas. Tolo inizia il
suo spettacolo suonando una Les Paul anni ’50 davvero molto bella
ma secondo me poco adatta a lui che è maestro della Stratocaster;
infatti i primi due brani eseguiti con questa chitarra
lo vedono un po’ in ombra, non fluido e grintoso come suo solito.
La musica però cambia appena Tolo abbraccia la fida Fender, grandi
assoli e la solita grinta con la band che lo supporta alla grande, si
vede che suonano assieme da molto, il feeling è quello giusto.
Ottimo spettacolo davvero. Passiamo così hai Ten
Years After
: La gloriosa band britannica si presenta
senza il suo leader storico Alvin Lee e sinceramente l’assenza
si sente, complice anche un grossolano errore del mixer con i bassi
davvero troppo alti che creano un forte distorsione coprendo non solo
la voce ma praticamente l’intero suono del gruppo. Incredibile
che nessuno dell’organizzazione se ne accorga facendo diventare
i 40 minuti del loro set una vera tortura per le nostre orecchie. Le
cose migliorano decisamente con l’esibizione di Brian Auger e
i suoi Oblivion Express.
Il grande organista inglese si avvale della collaborazione dei figli
Karma D Auger alla batteria e della splendida Savannah Grace alla voce
a cui si aggiunge Dan Lutz al basso. Brian
ci offre il suo spettacolo a forte impronta jazz con l’Hammond
grande protagonista, egli inoltre parla molto bene l’italiano
e intrattiene piacevoli conversazioni con il pubblico tra una canzone
e l’altra. Anche la vocals Savannah offre un’ottima prova
delle sue doti regalandoci anche dei balli molto sensuali che accompagnano
i virtuosismi all’organo del padre. Personalmente non amo molto
questo genere musicale ma devo ammettere che lo show è stato
davvero bello e coinvolgente, ma il bello deve ancora venire: Ore 19
circa sale sul palco Eric Sardinas,
il pupillo di Johnny Winter si presenta con un cappello da cowboy, che
ricorda molto quello usato da Johnny ai tempi d’oro di Guitar
Slinger, imbracciando uno splendido dobro anni ’30. Eric parte
subito forte con un paio di brani estratti dal suo ultimo cd ma lo show
entra davvero nel vivo quando Sardinas esegue Rock me brano storico
del suo maestro; Eric si leva la camicia e ci da dentro come un pazzo,
davvero una grande esecuzione ma il bello deve ancora venire: Sardinas
scende dal palco sale in spalla ad uno degli addetti alla security che
lo porta in giro
per tutta la piazza tra il delirio generale mentre il nostro pesta come
un ossesso sul suo dobro, spettacolare a dir poco. Tornato sul palco
si lancia in una infuocata “Piece of me” dove usa come slide
una bottiglia di birra da cui partono continui schizzi sul pubblico
prima di concludere con “My Kind of Woman” con tanto di
palco incendiato! Lo show migliore di tutto il festival a mio parere,
e una sorta di passaggio di testimone con Johnny Winter, se il ragazzo
non si perde ha davanti a se un grande futuro questo è certo;
Non gli manca nulla, grande tecnica, grinta da vendere, bella voce e
una notevole presenza scenica. Il futuro della slide passa sicuramente
dalle sue parti.
Dopo l’incendiario show di Eric Sardinas tocca a Kenny
Neal & Billy Branch
, i due collaborano ormai da
diverso tempo con ottimi risultati. Kenny è un cantante e chitarrista
coi fiocchi (ma suona anche piano e armonica) mentre Billy è
un armonicista molto valido attivo da oltre 20 anni , dotato di uno
stile molto personale e coinvolgente visto che si concentra spesso sulle
note alte; I due hanno lavorato spesso assieme come nell’ottimo
“Easy Meeting” e si conoscono ormai alla perfezione. Sanno
come muoversi e dividersi la scena senza mai pestarsi i piedi. Kenny
si occupa della quasi totalità delle parti vocali a cui l’armonica
di Branch fa da puntuale contrappunto prima di lanciarsi in lunghi e
spettacolari assolo. Abbiamo
anche l’occasione di vedere i due cimentarsi contemporaneamente
al “piccolo strumento” dove Kenny dimostra di saperci davvero
fare opponendo i suoni bassi e corposi della sua armonica a quelli alti
e lancinanti di Branch. Entrambi dimostrano di avere un ottima intesa
sul palco e di divertirsi come matti improvvisando per la quasi totalità
del concerto. Davvero ottime “Billy and Kenny’s Stomp” ,
“Going Down Slow”, “Early One Morning”. Altro
grande concerto. Quello che segue è invece (assieme ai Ten Years
After) uno dei punti più bassi del festival; Sto parlando della
performance di Mick Taylor.
L’ex Rolling Stones offre uno spettacolo quasi interamente strumentale
e abbastanza noioso, inoltre è davvero irritante il fatto che
tenga sempre la testa abbassata coperta da un ridicolo cappello bianco
senza mai guardare il pubblico. Bravo lo è sicuramente ma saper
suonare bene la chitarra non basta, per fare un bel concerto blues ci
vogliono grinta e cuore, cose che Mick ha dimostrato (almeno stasera)
di non possedere. Dopo di lui tocca ad un’altro ex delle pietre
Bill Wyman accompagnato
dai suoi Rhythm Kings. A dir il vero l’ex bassista degli Stones
fa davvero poco, infatti a rendere piacevole lo spettacolo sono soprattutto
il tastierista e cantante Georgie Fame con il suo look alla Elvis e
il grande chitarrista Albert
Lee, uno di quelli di cui si parla sempre poco ma che con la sei corde
ci sa fare come pochi. Tra classici del Rock & Roll e piacevoli
slow blues, dove si può ammirare tutta la bravura di Albert,
lo show risulta molto piacevole. Buona anche la prova della singer di
colore Bevrly Skeete. La serata ed il festival con lei stanno per volgere
al termine ma c’è ancora tempo per ammirare una leggenda
vivente della musica nera, Ike Turner:
Accompagnato da una big band con 3 sax e altrettante tastiere il vecchio
Ike da dimostrazione di saperci ancora fare alla grande: Inizia la band
con uno strumentale dal sapore molto funky poi entra in scena l’ex
marito di Tina. Ike è in splendida forma e non dimostra affatto
i suoi quasi 72 anni; agghindato in uno sgargiante completo giallo si
cimenta prima alle tastiere e poi alla chitarra, cosa questa abbastanza
rara per lui, dove dimostra di saperci fare davvero alla grande. Peccato
che ci sia qualche problema tecnico sull’amplificazione dei sax
ma Ike sa come mascherare la cosa intrattenendo il pubblico con tutta
la maestria del grande veterano, scherzando e aprendo di scatto la giacca
per mostrare il petto nudo. Oltre 1 ora di ottima musica e divertimento
a dimostrazione che se c’è la grinta anche l’età
passa in secondo piano, molti giovani dovrebbero prendere esempio.

Considerazioni Finali
Tiriamo ora le somme di questi due giorni di festival: L’organizzazione
è stata tutto sommato buona anche se ci sono stati dei fastidiosi
problemi al mixer e forse la gestione delle band non è stata
ottimale: troppe alla domenica in cui ci sono state, contando anche
il mattino, ben 10 ore di musica, magari spostare un paio di band al
sabato sarebbe stato meglio. Per quanto riguarda le performance direi
che Eric Sardinas ha offerto sicuramente lo show migliore e più
coinvolgente, promossi a pieni voti anche Plant, Kenny Neal e Billy
Branch e Brian Auger. I Dr Feelgood meritano una menzione speciale perché
dopo Sardinas sono quelli che ho trovato più adrenalinici davvero
una bella sorpresa. Dal Punto di vista emotivo Johnny Winter è
quello che mi ha coinvolto di più, vederlo ridotto così
ma ancora in grado di saper suonare alla grandissima è stato
in se triste ed emozionante forse anche perché l’axeman
albino è da sempre uno dei miei idoli. La delusione più
grossa è stata Otis Taylor, da lui mi aspettavo davvero molto
e per questo la delusione è maggiore anche se le performance
dei Ten Years After (comunque condizionata fortemente dall’acustica)
e di Mick Taylor sono state decisamente peggiori. Gli Altri direi tutti
sopra la sufficienza con una menzione particolare per i nostri Nick
Beccatini, Andrea Braido e Tolo Marton che non hanno affatto sfigurato
al confronto con i più quotati musicisti stranieri. Un bilancio
sostanzialmente positivo per due giorni di blues di ottimo livello.

GLI
ARTISTI CHE SI SONO SUCCEDUTI

Venerdì
11 Luglio

NICK BECATTINI
BOZ SCAGGS
SUE FOLEY
LUCKY PETERSON
JETHRO TULL

Sabato 12 Luglio
OTIS TAYLOR
ERIC BIBB
Dr FEELGOOD
JOHNNY WINTER
ROBERT PLANT

Domenica
13 Luglio

Mattina
NICK BECATTINI
ANDREA BRAIDO

Pomeriggio

IKE TURNER
BILL WYMAN’S RHYTHM KINGS
MICK TAYLOR
KENNY NEAL & BILLY BRANCH
TOLO MARTON
ERIC SARDINAS
BRIAN AUGER’S OBLIVION EXPRESS

TEN YEARS AFTER
MORBLUS BLUES BAND
ANDREA BRAIDO – TWIN DRAGONS