Pink Floyd – Wish you where Here

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Con “Dark side of the moon” i Pink Floyd smisero di essere una cult band e divennero ufficialmente un super gruppo di fama mondiale. Dopo aver portato in giro per i 4 continenti uno spettacolo live dalle allora impensabili dimensioni, i Floyd cominciarono a pensare di dover dare un seguito a quel mostro che fu “Dark side of the moon”. Inizialmente fu progettato un disco composto solo da suoni ricavati da oggetti domestici, ma l’idea venne ben presto accantonata. In seguito il gruppo optò per un album composto da tre suite: “Raving and Drooling” e “Gotta be crazy”, a lungo provate durante i tours del 1974, e una nuova suite basata su un malinconico ed etereo fraseggio di David Gilmour. Le sessioni di registrazione sono ricordate per essere state tra le più sofferte mai viste ad Abbey Road: una tremenda crisi di appagamento artistico colpì sia Rick Wright che Nick Mason, i quali mal digerivano la permanenza in studio mandando su tutte le furie sia Gilmour che Waters. “Non era facile dare un degno successore ad un disco come “Dark Side”- commenterà Gilmour – “ In più, mai come in quel periodo fummo vicini allo scioglimento”. Roger Waters suggerì che anche questo disco avrebbe dovuto essere un concept, e quindi si prospettava la necessità di individuare un tema conduttore, che fu ben presto individuato nell’assenza. Assenza di persone care, di affetti, o l’assenza dei Pink Floyd stessi, che sembravano davvero non esser più interessati alla musica del gruppo. “Avremmo dovuto intitolarlo “Wish we were here”, commenterà un sarcastico Waters per sottolineare quanto i Floyd fossero in quei giorni “mentalmente assenti ed insani”. Ma più di tutto il resto Waters si riferiva al disagio e al dolore che egli provava nel ricordare e nel sentire l’assenza di Syd Barrett, vero ispiratore indiretto di questo disco. A tal proposito è curioso constatare come in realtà Syd Barrett non uscì mai pienamente dal gruppo: in un certo senso possiamo affermare che egli si aggirasse tra i Floyd come un fantasma che portava con se ricordi scomodi e tristissimi, che finirono per condizionare, in un modo o nell’altro, gran parte delle tematiche e delle musiche che il gruppo compose senza di lui.
Sia “Raving and drooling” che “Gotta be crazy” finirono per restar fuori dal progetto (ma furono ripescate nel successivo album “Animals”), poiché Waters desiderava avere a che fare con composizioni che riflettessero maggiormente quello stato di malinconia ed assenza che si aggirava negli studi di registrazione, così presero forma tre nuove canzoni più in linea col progetto : “Wish you were here”, “Welcome to the machine” e “Have a cigar”. Sebbene concepito in un’ atmosfera tesissima, “Wish you were here” rimane uno dei grandi capolavori del gruppo, perfettamente equilibrato tra bontà sonora e suggestioni settantiane , forse il più grande ed abile concentrato, contenuto in un solo album, di quel sound etereo arricchito da cori femminili su dilatati mid tempos in 4/4 che hanno reso celebri i Pink Floyd , forse ancor più del pluri decorato “Dark side of the moon”. In effetti si tratta del disco in cui Gilmour portò il suo stile chitarristico a compimento definitivo e su livelli d’intensità altissimi, dove Wright ebbe spazio infinito per far risuonare i suoi eterei synth e organi, ma soprattutto fu l’ultimo disco dove i quattro lavorarono essenzialmente come gruppo, pertanto l’ultimo caratterizzato da tanta solennità. Moltissimi e commoventi i riferimenti a Syd Barrett nella magnifica suite “Shine on you crazy diamond”, dove si celebra e si piange la sua follia in seguito alla sua perdita sia come persona che come artista. Divisa in due meravigliose parti caratterizzate da un Gilmour strepitoso autore di quelle tre note che faranno sognare il mondo intero e folte schiere di aspiranti chitarristi, “Shine on you crazy diamond” si impose come una delle migliori composizioni mai scritte dai Floyd, forte di una carica evocativa senza precedenti tra chitarre sognanti e synth sovrapposti dal grande effetto emotivo, sostenuti dal solito e calibrato mezzo tempo ritmico, mentre la title track si preparava a diventare una delle ballate più celebri della storia del rock. Aspra critica verso l’industria discografica in “Have a cigar”, cantata dal folk singer Roy Harper, e “Welcome to the machine”, autentico gioiello di musica elettronica, da parte di un Waters al solito aspro e pungente, ma caratterizzato da una grazia lirica che mai più avrà modo di dimostrare negli anni a venire. Pubblicato il 15 settembre del 1975, nonostante non si avvicinasse neanche lontanamente alle vendite del suo predecessore, “Wish you were here” fu comunque un grande successo commerciale che consolidò la fama dei Pink Floyd a livello mondiale e che stabilì definitivamente i canoni del Pink Floyd sound nell’era post-psichedelica e post-progressiva.