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“To make this trivial world sublime, take half a gramme of phanerothyme”. Il segreto di questo disco è in parte svelato dalla frase di uno dei guru della fantascienza (autore, tra l’altro, del profetico “Brave New World”): Aldous Huxley, dal quale in nostri hanno tratto spunto per intitolare questo più che ottimo lavoro. E in effetti l’ascolto dei nove brani è un continuo viaggio attraverso stili sonori, idee compositive, ma soprattutto attraverso brani difficilmente classificabili in un genere musicale piuttosto che in un altro… E proprio qui sta la magia della band di Trondheim: suonare “rock” piacevole, sperimentale, geniale; a tratti (diciamolo) “saccheggiando” letteralmente le grandi band del passato, ma sempre con stile e savoir faire. Come oramai è loro marchio di fabbrica, il combo basso, chitarra, batteria – che costituisce la spina dorsale
della band – si avvale di numerosi musicisti “extra” (un trombone, una tromba, un flauto, tre viole, una tuba e un oboe.) che aggiungono colore e strati multiformi, dosati magistralmente, alle ottime melodie.
Le “danze” si aprono con “Bedroom Eyes”: ballad acustica di tradizione Zeppeliniana (la “Going To California” del 2000? – il paragone ci può stare.) per proseguire con il “riffettone” di “For Free”, energica e a tratti molto punk, a dimostrazione che la band sa interpretare proprio tutto. Segue “B.S.”, atmosfera un po’ “hollywoodiana” che parte da un semplice fraseggio basso-chitarra. Più tranquilla ma sempre interessante e piacevole è “Landslide”, traccia numero quattro, che mostra buoni spunti anche a livello canoro, oltre che melodico.
Poche righe sopra si trattava di “saccheggi” dal passato. Beh, questa “Go To California”, la cui introduzione a più voci sembra proiettarci in un disco dei primissimi Yes, per continuare con niente più che una eco non tanto nascosta di “Light My Fire” ne è un candido esempio. Omaggio, più che altro, e consapevolezza che tutto ciò che si suona oggi affonda le radici, volenti o nolenti, almeno trent’anni fa o giù di lì. Altro discorso per “Painting The Night Unreal”, a tratti quasi fusion… la cui atmosfera seneramente soft fa pensare a una serata a un club esclusivo fine anni Settanta! “The Slow Phaseout”, con
i suoi numerosi cambi e controcambi, sembra quasi un pezzo proto-prog, e colpisce ancora una volta l’ottimo lavoro di arrangiamento, indubbiamente opera di navigati musicisti quali sono i Motorpsycho. Arrivati alla traccia otto, siamo anche al capolavoro del disco. “Blindfolded” è la song perfetta. una struttura da antologia, partendo dall’integrazione tra strumenti
“classici” e “elettrici” fino ad arrivare all’ancora una volta impeccabile lavoro vocale. Veramente un classico-moderno. Non poteva chiudere il disco pezzo migliore di “When You’re Dead”, una malinconica nenia con tanto di banjo che però non perde mai quella “serenità” di cui è attraversato tutto questo bellissimo disco, che davvero spesso si ritrova a girare nel mio lettore dopo una lunga analisi sempre indecisa del “cd da ascoltare oggi”. I Motorpsycho, a mio modestissimo parere, sono una
delle (poche) band che in futuro (se non verranno “schiacciate” dallo showbiz) ci riserveranno le migliori sorprese immaginabili, ne è già un chiaro esempio il recente “It’s A Love Cult”.