Fuck – Those Are Not My Bongos

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Il gruppo con il nome più coraggioso degli ultimi tempi torna a far parlare di sè con “Those Are Not My Bongos”. Questo disco dà, se mai ce ne fosse bisogno, l’ennesima conferma della loro bravura: sono una della migliori band indie di questo periodo. L’album sembra crogiolarsi nella sua pigrizia, nei suoni obliqui e lo-fi, lascivi, circondandosi a volte con qualche spruzzo di sad-core qua e là ma senza farsi vedere, si muove tra tracce volutamente brevi, scanzonate, con richiami a gruppi quali Grandaddy, Pavement, Sparklehorse alla lontana, tra registrazioni che non vogliono essere niente altro che canzoni. E già potrebbe essere un pregio, se non un punto a favore: i Fuck sanno creare canzoni e le lasciano lì, a farsi ascoltare.
E ascoltando con attenzione, ci si accorge che non sanno solo scherzare (“Motherfuckeroos” che si apre come gli stacchetti dei cartoni animati e che ci accoglie con “hey you motherfucker”) ma sanno dar vita a scarne canzoni pop tra il delirio, la leggerezza e la bellezza (“No Longer Whistler’s Dream Date”). A ottimi fraseggi jazz-fusion scanzonato (“Jazz Idiodyssey” che a quanto dicono è un omaggio ai Weather Reaport) e a ballad con piccoli inserti di chitarra timidamente elettrificata (“Vegas”). A spogli pezzi folk con tanto di fruscii di registrazione (“Her Plastic Acupuncture Foot”, “Hulk Baby”), ad atmosfere gravi di violoncello e voce (“A conversation”), e, oltre la malinconia, a pezzi rock più movimentati con vaghe influenze country (“A Wov”, “Table”) o lo-fi verosimilmente somiglianti agli Strokes (non fosse che i Fuck non fanno parte dello scialbo revival, tornato tanto di moda), passando poi per lievi momenti strumentali (“Good Eavnin’ “) per arrivare infine ad una sbilenca e soffice canzone d’amore. (“How To Say”)
Un disco per gli amanti della bassa fedeltà e dei suoni sghembi, per scoprire qualcosa che merita, visto che ormai sono dieci anni che si muovono nell’anonimato.
“Se si è pigri non si può che apprezzare”, così loro affermano, e almeno un ascolto ci vuole. Sdraiatevi sulla poltrona e smentiteli.