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Ennesima band col The davanti, ma l’abito non fa il monaco. Il quartetto The Stills infatti non ha niente da spartire con i vari The Strokes, The Vines, The White Stripes, The Questoequellaltro. Il loro sound è molto avvicinabile anzi agli Interpol. Piedi e mente ben saldi quindi nei primi anni 80, tra i Joy division e i Cure andando al massimo a ripescare qualche cosa da Morrisey e i suoi Smiths, ma solo -attenzione- in fatto di suond, come affinità “melodiche” sono più avvicinabili alla schiettezza e semplicità di gruppi come Eskobar o Beatles. I suoni sono secchi e diretti, senza il minimo uso di overdrivee distorsioni (e credetemi, c’è gente che senza questi 2 pedali è praticamente persa), si muovono sciolti nell’aria supportati daottimi tempi di batteria, che colpisce potente e decisa ma senza essere necessariamente aggressiva e prevaricatrice. Le canzoni, tutte velate da un sottile senso dell’abbandono e malinconia, più un certo gusto new romantic sornione come solo i Duran duran sanno fare, non conquistano al primo ascolto, ma crescono pian piano nel tempo. Si insinuano nella mente e portano sempre più la mente a concentrarsi sul disco. Alcune canzoni, per le loro strutture e la melodia tipicamente Beatlesiana (Lola Stars and Stripes, Change are no good), altre invece richiedono una certa concentrazione, altrimenti risultano ripetitive e noiose (Allison Krausse, uno tra i pezzi più Interpoliani e Animals+Insect dalla batteria alla Mùm).
Un album che si fa strada piano piano, ma solo se trova nell’ascoltatore un minimo di disponibilità e pazienza.
Personalemente dopo il 4 ascolto ne sono davvero rimasto rapito.