Paolo Benvegnù – Piccoli fragilissimi film

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Ritorna Paolo Benvegnù e sembra passata un’eternità. Il Paolo di “Bombardano cortina” è così lontano da apparire come un’ altra persona, quello di “Rosemary Plexiglass” e “Amstrong” è cambiato, tanto, ma in positivo. Esce il primo capitolo di quella che sarà il trilogia del tessuto, a “piccoli fragilissimi film” è stato affidato il compito di esserne l’opening. Undici canzoni in cui la voce di Paolo scivola vellutatatra archi, viole, violini e pianoforte. Undici piccoli fragilissimi film intimi, personali, deboli e forti allo stesso tempo. Dentro di loro sono racchiusi tre anni, di esperienze e di collaborazioni (tanto per citarne qualcuna: otto p notri, 4fioriperzoe, alibia, terje norgarden…) di cui si sentono gli echi fin dalla prima traccia che sarebbe calzata a pennello anche in un disco di Marco Parente. Si tratta di un album in perfetto stile cantautorale, difficile da classificare e quasi impossibile da paragonare trattandosi di un lavoro estremamente personale. Sarebbe stato facile fare un disco più pop, più Scisma, ma Paolo ha sapientemente preso un’altra strada, ha guardato bene il paesaggio, ha camminato lentamente ma con decisione ed ha creato questo piccolo capolavoro.
E’ presente nella track-list il singolo “Suggestionabili”, uscito alla fine dell’anno scorso per smorzare un pochino la voglia di risentirlo. Si tratta del brano più duro (sopratutto nei testi. “Io so la mia verità e voglio usare il cranio come un archibugio”) e anche più sentito, autobiografico, quasi una presa di coscienza di quello che si è (“io sono l’ultima cosa che mi rimane, sarò la prima cosa che avrò, io sono il vertice, io sono l’assoluto, io sono il genio, io sono il mio assassino”). Benvegnù passa con disinvoltura da una dichiarazione d’amore come potrebbe benissimo essere “io e te”, ad una fredda descrizione dell’etereità del proprio oggetto dei desideri che porta a un cinico quanto realista quesito finale (“io non so perchè non ti uccido?”) in “quando passa lei”, e finisce con il rifiuto di “Catherine”, epilogo di una notte che si spegne con il mattino. “Brucio” è l’impossibilità di svanire, di scappare da se stessi, “Brucio” è sentita, è quasi claustrofobica, ansiogena e vera, è una gabbia di cristallo, chiusa.
“Ma io lascio che le cose passino e mi sfiorino” canta Paolo e noi speriamo che sia sempre così se il risultato finale poi è questo.. Un ritorno atteso che non fa rimanere delusi, un’artista che riconferma la propria eleganza e delicatezza, un disco semplicemente bello.
Bentornato Paolo