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Sebbene autori di un solo album e svaniti nel nulla dopo soli 2 anni dalla nascita, i californiani Usa sono autori di uno dei più grandiosi e rivoluzionari album di rock psichedelico mai pubblicati. Lontano dalla matrice sonora dei Grateful Dead e maggiormente riconducibili allo space rock dei Pink Floyd, il suono degli Usa è figlio delle sperimentazioni del proprio leader e compositore, Joe Byrd, molto interessato dalle possibilità della musica d’avanguardia ed elettronica. Corre l’anno 1968, e avvalendosi del contributo di alcuni amici musicisti della scena di Los Angeles il nostro allestisce con innata abilità questo collage variopinto, estremamente ben suonato, pregno di folli rumorismi sullo sfondo paragonabili in qualche caso al “free form” dei Red Crayola. Sorprendente la qualità dei brani, che non pagano alcun dazio alle inclinazioni sperimentali del progetto, e che anzi risplendono per bellezza e organicità. Molto spazio alle suggestioni lisergiche, che in molti casi più che sfociare in un più consueto e diffuso acid rock, tendono a diventare oniriche e suadenti visioni. “Cloud song” ne è un esempio abbastanza evidente, dove la voce della bravissima Dorothy Moskowitz sembra cullarsi sulle stralunate melodie di Byrd. L’ effervescente “The garden of Eartly delights” mostra il lato più spacy degli Usa, tra elettronica e molto vigore tastieristico. Tra tutto questo si fanno largo anche un certo gusto festaiolo e goliardico à la Frank Zappa, come ad esempio nella bizzarra “I won’t leave my wooden wife for you, sugar”, e i soliti cenni d’anticipo sui tempi; qua e là si scorgono tratti pre progressive: “Coming down” si fa apprezzare per il suo incedere hard prog e per un certo estetismo tastieristico che di lì a breve avrebbe spopolato in Europa e soprattutto in Inghilterra. Probabilmente il disco tocca il suo apice artistico nell’ultimo brano, “The american way of love”, pazzoide mosaico-rock con nastri pre-regitrati, effetti assurdi ed elettronica, forse l’apoteosi e testamento dell’arte sperimentale del suo creatore, Joe Byrd.
Andando alle conclusioni, questo omonimo album degli Usa è stato troppe volte dimenticato dalla critica, snobbato dagli appassionati meritando invece molta attenzione e grande rispetto. A mio parere questo è un disco che non teme il confronto con altri dell’epoca ben più blasonati e si pone come ideale crocevia tra rock psichedelico e musica d’avanguardia, dove comunque la matrice psichedelica è ben più riconoscibile. Se me lo consentite direi che siamo di fronte al disco psichedelico per gli amanti del progressive o più semplicemente a musica unica nel suo genere.