Zu – Radiale

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Gli Zu, trio jazz romano, si sono sempre avvalsi di collaborazioni alquanto distanti tra loro (Roy Paci in veste di trombettista e Steve Albini in veste di produttore per “Igneo”): in questo disco si lanciano in un progetto che li vede formare un sestetto in formazione doppia (due bassi, due batterie e due sax) con gli Spaceways Inc tutto sotto la supervisione di Bob Weston, degli Shellac.
La direzione che prende questo nuovo lavoro è evidente sin dalla prima traccia: un album che, pur mancando di liriche, si presenta oscuro, claustrofobico, angoscioso, cupo e folle, d’impatto diverso dal precedente con un suono decisamente meno noise. Il paesaggio che disegnano i due sax (alto di Luca Mai e baritono di Ken Vandemark) ricorda a tratti quel lucido delirio che contraddistingue alcune opere di John Zorn sporcato però dall’hardcore -un’attitudine che da sempre fa parte del gruppo- e da alcune reminescenze new wave (prime fra tutte quelle che rispondono al nome di DNA). Ma non finisce qui: troverete nel disco richiami al Capitano Beefheart più buio, alla genialità degli Art Ensemble Of Chicago e addirittura a Mingus in versione epilettica. Quattro tracce, perfetti giochi ad incastro di batteria (Jacopo Battaglia) tra esplosioni di basso (Massimo Pupillo) e rallentamenti di sax.
Finita la quarta traccia si dà il via alle cover insieme agli Spaceways In, segnando una svolta di sonorità, ora più rivolte verso aperture cosmiche/funk. Non a caso quindi vengono rivisitati pezzi dei Funkadelic (“Trash a Go-Go” e “You and Your Folks, Me and My Folks) che in formazione di sestetto assumono vesti inaspettate e disarmanti, e pezzi a dir poco coraggiosi di Art Ensemble Of Chicago e Sun Ra (“Theme of Yo-Yo e “We Travel The Spaceways/Space is the Place”) che di certo non superano i maestri, ma a livello qualitativo sono eccellenti quasi quanto le tracce originali proposte; tirando le somme, lavoro più maturo in termini compositivi e di idee per gli Zu (complice anche un massiccio tour che tocca ormai da anni la totalità dell’Europa) che ormai si presentano come tra i più validi musicisti della penisola. Parola di John Zorn.