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Gli anni sulle spalle ormai sono 89 ma Robert Lockwood non ha perso una briciola del suo entusiasmo e del suo amore per il blues. Egli è rimasto, assieme a Honeboy Edwards, l’unico superstite della prima generazione di bluesman del delta. Oltre al patrigno Robert Johnson il nostro ha conosciuto e collaborato con gente come Charlie Patton e Son House, prima della riscoperta, vagabondava con Tommy Johnson e Willie Brown; ha visto il delta blues trasformarsi nel blues elettrico di Chicago e lo ha fatto da protagonista assoluto suonando con Muddy e Howlin Wolf. Non esiste bluesman dell’epoca d’oro con cui Robert non abbia suonato. Oggi è considerato una leggenda vivente e il titolo non è affatto immeritato. Secondo alcuni esperti se Robert Johnson fosse vivo suonerebbe nello stile del suo figliastro Robert jr. con quel misto di delta blues e suoni urbani. Questo disco dal vivo (il secondo ufficiale della sua carriera) documenta uno show che il nostro ha tenuto a Phoenix il 24 luglio dello scorso anno. Lockwood si presenta in solitudine sul palco accompagnandosi solo con la sua chitarra , elettrica, a 12 corde e snocciola uno dietro l’altro una serie incredibile di classici. Come sempre grande parte della set list è dedicata ai brani di Robert Johnson ma il nostro esegue anche pezzi di Mance Limbscomb, Leroy Carr e Rosvelt Sykes; lo fa con sua inconfondibile voce quasi gracchiante segnata dagli anni, dalla polvere delle strade del Missisippi e dal whiskey di contrabbando. Il suo è un cantato carico di trasporto e di passione, la sua voce trasuda amore e sofferenza rendendo questi brani, che noi amanti del blues avremo sentito almeno in un centinaio di versioni differenti, sempre unici ed emozionanti. Il suo stile chitarristico è caratterizzato come sempre da un fraseggio mai esuberante ma caratterizzato da uno stile secco con accordi discendenti di grande efficacia proprio come gli aveva insegnato Robert Johnson, sentite la sua splendida interpretazione del super classico “Sweet Home Chicago”, assaporate con quanta dedizione e con quanto trasporto il nostro snoccioli in modo chiaro le strofe e percuota le corde della sua chitarra. Splendide anche “Love in Vain” e “Ramblin On My Mind”; proprio in quest’ultima si apprezza a pieno come Lockwood grazie alla sua tecnica sopraffina sia in grado da solo di ricreare il suono di una piccola band in uno stupefacente alternarsi e concatenarsi di bassi boogie e note alte fiere e sprezzanti . Ma Robert Jr. non è solo un musicista del delta, si trova anche perfettamente a suo agio quando interpreta il Texas blues di Mance Limbscomb in una strepitosa versione di ”Meet In The Bottom” o quando suona sullo stile pianistico di Roosvelt Sykes la celebre “Feel Like Blowin My Horn” sfoderando una prova vocale pregna di forza e agilità. Lockwood esegue questi brani come se fossero suoi, li rende personali senza snaturarli andando diretto all’essenza stessa del blues con esecuzioni corte e mai ridondanti, racconta le sue storie in modo diretto, senza orpelli e di nessun genere e il pubblico dimostra di gradire dedicando delel vere ovazioni alla fine di ogni song.. Credo che per un amante del blues sia sempre una gioia sentire Robert Lockwood jr, la sua musica ci riporta direttamente ai tempi d’oro della musica del diavolo, sa evocare figure e paesaggi lontani con una efficacia davvero rara. Questo “The Legend Live” è un piccolo gioiellino da tenersi stretto, un rifugio sicuro dove sappiamo di trovare sempre un amico che ci riconcilia con la musica che più amiamo; Long life Robert jr.