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Devendra Banhart è un giovane cantautore hippy/folk di 23 anni.
“Cheppalle! eccone n’altro…”
Si lo so, anche io ho pensato la stessa identica cosa ma, incuriosito dal nome (che non so perchè mi riporta alla mente i kula shaker) mi sono dedicato all’ascolto di questo secondo lavoro, chiamato Rejoicing the hands e, credetemi, è meglio di tutta la roba uscita tipo Damien Rice, Ben Kweller e company. (senza nulla togliere a loro: O resta un lavoro di tutto rispetto).
Niente a che fare quindi anche con Crispian Mills e i suoi Kula shaker, sebbene tutte le melodie hanno un non so che di india, ma qua a fare la differenza c’è lo spessore. (e se parliamo di spessore non tiriamo neanche in ballo i Jeevas). Le basi sono sempre date da Nick Drake, ma c’è “un non so che” che mi riporta alla mente i primi Pink Floyd (periodo Ummagumma) e Syd Barrett. Le chitarre… ma chissà se si tratta davvero di chitarra, visto che qua c’è davvero poco che suona come la classica acustica alla Noel Gallagher, si sentono classiche, steel guitars e –secondo me- anche qualche sitar.
Dicevo, le chitarre sono spoglie, secche, poco effettate ma nonostante ciò capaci di fondersi perfettamente tra loro con arpeggiati che vanno dalla semplice base (Will is My Friend), a un complesso affascinante nella sua “nenia ipnotica” (Tit Smoking in the Temple of Artisan Mimicry). Il disco si può dividere in 2, quelle melodie che piacciono perché sono semplici, standard, forse anche troppo standard, come Will is My Friend, This is the Way, This Beard is For Siobhan… tali melodie quasi pop sono di ottima fattura, ma se fosse per queste non ci sarebbe nessuna novità od entusiasmo e, diciamolo, neanche la necessità di parlare di questo disco.
Ma la seconda metà è tesoro. Brani quasi psichedelici che potrebbero benissimo essere usciti dai beatles sotto acido, da un’accoppiata Gilmour Waters sotto acido, e da un Syd Barrett… normale (esiste un Syd Barrett senza acido?).
Syd stesso viene subito alla mente con l’inizio “falso di Todo Los dolores (canzone fatta per divertirsi), i Beatles arabbeggianti in brani come Insect Eyes, When the Sun Shone on Vetiver o there was the sun, i Pink floyd di fattura semplice ma ipnotica sono tutti nei paranoici arpeggi di A Sight to Behold, nell’incredibile Tit Smoking in the Temple of Artisan Mimicry.
Da far notare poi che di batteria e basso non c’è quasi traccia (e quando c’è non è certo banale, basti sentire Fall), ma c’è un sapiente gioco di voci e cori che crea un’atmosfera eterea e soffice su cui abbandonarsi.
Forse la sparo grossa, ma se Regina Spekotr è per me la cantautrice donna dell’anno (per ora), Devendra Banharte il corrispettivo maschile.