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Vi chiederete perché tra tutti capolavori dei Gong sono andato a pescare proprio Downwind, che tra l’altro capolavoro non ambisce ad esserlo. Esistono dischi con i quali si instaura un rapporto che va al di là della pura critica analitica, entrano in ballo i ricordi che riescono ad evocare, insieme ai sentimenti arrivano i profumi e quando succede questo è veramente dura rispettare i pareri della critica che ha incoronato il primo periodo, più precisamente quello della trilogia “Radio Gnome Invisibile” (The flying teapot – Angel’s Egg – You) come il momento d’oro della band, quello legato alle visioni spaziali dell’allora leader Daevid Allen. Non posso smentire la critica, neppure volendo. Senz’altro quello è il momento di massimo splendore della band, artefice di un sound a metà tra progressive ed acid rock psichedelico, tra l’altro molto variopinto, personalissimo – infatti “quei” Gong avevano uno stile pressoché unico nel loro genere – ed assai interessante per contenuti artistici. Ma dopo la defezione di Daevid Allen, i Gong decidono di intraprendere altre direzioni artistiche, il loro sound vira verso un jazz-rock dove persino Allan Holdsworth tenta di lasciare il suo marchio. In realtà non sono molti gli episodi degni di essere ricordati della seconda incarnazione dei Gong, quella pilotata dal percussionista Pierre Moerlen. Anzi il gruppo passa per dischi non sempre riusciti (Shamal) ed altri buoni solo in parte (Gazeuse). Ma sul finire degli anni 70, in un momento di certo non facile per il rock colto, i Gong di Pierre Moerlen pubblicano questo “Downwind”. Cosa è cambiato rispetto agli altri dischi della seconda era? Dipende da che punto di vista vediamo la faccenda. Dal versante squisitamente formale i Gong non sembrano distanziarsi dal consueto jazz rock che li caratterizza da alcuni anni. Andando a fondo però è impossibile non rimanere estasiati soprattutto dal talento compositivo e dalla facilità di ornamento che emergono nelle bellissime composizioni presenti su disco. Si tratta in definitiva degli ingredienti che forse mancavano nei dischi precedenti. L’apertura è affidata ad “Aeroplane”, un ibrido tra prog rock e jazz rock, in cui l’organo hammond, suonato dal grande Steve Winwood, reca alla mente ricordi di tempi ormai andati, ed in unione all’effervescente stile percussionistico di Moerlen il brano sfoggia un vigore ed un groove che saranno uno dei punti di forza dell’intero disco. La successiva “Crosscurrents” crea gli spazi necessari per evidenziare l’enorme talento di Pierre Moerlen con le sue svariate percussioni di estrazione etnica, mentre nella title track troviamo come ospite addirittura Mike Oldfield, impegnato col gruppo in un omaggio alla sua celeberrima “Tubular Bells”. Infatti il tema portante allo xilofono è quantomeno vicino a quello del capolavoro di Oldfield, sia per ispirazione melodica che per progressione armonica. Il risultato è straordinario, il tocco di Oldfleld alla chitarra è riconoscibilissimo ed il brano splende per senso del groove prima, e per carica evocativa poi.
Il lavoro passa quindi attraverso due momenti energici neanche disdicevoli, per poi approdare alla parte finale, ovvero le due perle atmosferiche “Emotions” e “Xtasea”, entrambe giocate sul piano manco a dirlo delle emozioni e dell’estasi sonora – altra caratteristica eccezionale del disco, “Downwind” ha infatti un suono grandioso – dove ancora una volta è lo xilofono a regalare le magie più intense, in aggiunta ad un delicato violino che tesse trame da brivido. Se la prima delle due sembra creare un certo senso di stasi, nella seconda fa capolino un gentile dinamismo ritmico sottolineato da un basso efficacissimo e comunque al servizio dell’anima ultra-melodica del brano.
Finisce qui “Downwind”, disco che per il sottoscritto ha segnato l’inizio dell’interesse verso un certo tipo di musica, ma al di là delle considerazioni personali credo che abbia fornito spunti infiniti per un sacco di bands che di lì a breve si sarebbero formate, non ultimi gli ottimi Ozric Tentacles. Se siete alla ricerca del disco più rappresentativo dei Gong non troverete conforto in “Downwind”, il consiglio va obbligatoriamente su certi dischi di inizi carriera, senz’altro i primi due capitoli della già citata trilogia “Radio Gnome Invisible”. Se al contrario siete alla ricerca di un disco inusuale, energico ma al contempo straordinariamente atmosferico, allora date un ascolto a “Downwind”.