Taylor, Otis – Double V

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All’incirca un anno fa su queste pagine recensivo “Respect The Dead” terzo splendido album in studio di Otis Taylor che faceva seguito agli altrettanto belli “White African” e “When Negroes Walked the Earth”. Iniziavo quella recensione con queste parole :” Nel 2003 può esistere un’erede vero della tradizione down home? Un successore degno di Charlie Patton e Robert Johnson? La risposta è si e il suo nome è Otis Taylor.” Dopo quel disco il buon Otis ha cambiato casa discografica passando dalla Northern Blues alla Telarc etichetta quest’ultima che piano piano sta annoverando nella sua scuderia tutti gli artisti blues più interessanti degli ultimi anni. Per la Telarc Otis ha pubblicato “Truth Is Not Fiction” sempre nel 2003 e ora questo “Double V”. Da allora il mio giudizio su Otis non è cambiato. A mio avviso il nostro rimane uno dei più grandi bluesman down home contemporanei. La sua musica non è certo facile da ascoltare: la melodia come da miglior tradizione è pressoché inesistente, il suono ha una andatura quasi ipnotica. Il suo cantato è quasi un talking sussurrato tutto incentrato sulla sua enorme bravura interpretativa come se il nostro più che cantare recitasse. Taylor si immedesima totalmente nei personaggi delle sua canzoni e nelle loro storie. Proprio le storie sono uno dei pezzi forti del suo blues. Otis canta narra le vicissitudini di persone vittime di piccole grandi tragedia sempre più spesso legate alla segregazione razziale. Sono argomenti forti descritti con parole forti. In “Double V” il nostro prosegue sulla stessa strada. L’abbandono del bassista e produttore Kenny Pasarelli non si fa molto sentire, (anche perché Cassie Taylor,figlia di Otis, si comporta in modo davvero egregio) anzi direi che potendosi sedere egli stesso in cabina di regia Otis Taylor ha la possibilità di aggiungere nuovi elementi alla sua musica, elementi che si ricollegano sempre più alla musica africana. Il disco si apre con “Please Come Home Before It Rains” e subito si intravedono le prime novità: il sound è leggermente più ritmato con sfumature quasi calypso che donano alla canzone una insolita, per Otis , melodia quasi solare. “Took Their Land” riporta Otis in territorio decisamente più down home. Solo voce e armonica, un blues spesso e fangoso, rude e tagliente al punto giusto. Taylor ci regala una prova vocale da brividi. Una grande lezione per molti: per fare una grande canzone basta davvero poco se si ha la giusta passione e il talento. “Plastic Spoon” è segnata in modo indelebile dal malinconico gioco di archi che accompagnano il mandolino elettrico del leader. La storia è davvero toccante; parla di una coppia di anziani malati e poveri che per poter sopravvivere e pagarsi le cure sono costretti a mangiare cibo per cani. E’ incredibile l’abilità narratoria di Taylor. Si continua con un’altra storia di disperazione e degrado:” Mama’s Selling Heroin” spiega tutto già dal titolo, è una canzone autobiografica che narra dell’arresto della madre di Taylor, il suo andamento fortemente ipnotico e la cosa è accentuata dal controcanto di Cassie davvero efficace. “505 Train” è un blues quasi psichedelico, la sezione ritmica, notare che in tutto il disco non ci sono percussioni se si eccettuano un paio di episodi, composta dal basso e dal violoncello pesta alla grande come a voler ricreare l’incedere del treno protagonista della canzone. Strepitosa come sempre l’interpretazione di Otis che sa variare le sue inflessioni vocali passando dal tormento alla gioia con una naturalezza disarmante. La successiva “Mandan Woman” è sempre caratterizzata dall’andamento circolare del suono che si ripete all’infinito portando l’ascoltatore in una sorta di limbo dove esiste solo la voce di Otis che sa incantare ed emozionare sempre più aiutato da cassie al controcanto. “Sounds of Attica” è quasi surreale, al vicenda è ambientata nella nota prigione e il nostro sembra voler ricreare i suoni e i rumori che in essa regnano. Non ci sono parole ma solo gemiti, sussurri , respiri. E’ nettissima la sensazione di costrizione e di angoscia che la song ci fa provare, una sensazione quasi fastidiosa tanto è efficace. Davvero incredibile come il nostro è in grado di evocare immagini ed emozioni con al sua musica. “It’s Done Happened Again” inizia con delle percussioni tribali a cui aggiungono il basso e il banjo mentre Otis tira fuori tutte le sofferenze del suo cuore. Si prosegue con “He Never Raced on Sunday” ha dei forti tratti di musica sacra, è un’altra canzone sulla segregazione razziale argomento molto caro al nostro. “Hurry Home” è un scheggia di poco più di un minuto solo voce e riprende i tratti gospel del precedente mettendo in mostra tutta la bravura dell’Otis Taylor cantante. “Reindeer Meat” invece si sposta su territori più folk con la chitarra acustica in grande evidenza. Si chiude con “Buy Myself Some Freedom” una ballata a dir poco magnifica, La voce è quella di Cassie Taylor e la tromba è di Ron Miles. Il resto lo fanno gli archi e la chitarra di Otis. Un brano crepuscolare di rarissima bellezza che chiude un disco altrettanto bello.
“Double V” è a mio avviso un grande disco anche se forse nel caso dell’opera di Otis Taylor parlare solo di adisco è riduttivo. I suoi sono racconti in musica, una continua cascata di emozioni a cui è difficile resistere. Non è musica per tutti perchè, come già detto, il nostro concede poco o nulla alla melodia puntando tutto sulla sua straordinaria abilità di compositore e interprete. Ci vuole forse un pochino di allenamento ma se quando alla fine riuscirete ad entrare nel mondo di Otis Taylor vi assicuro che ne resterete a dir poco affascinati.