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I Razorlight sono un gruppo che non vuole crescere, che è rimasto con la mente nel 1995, nell’esplosione del brit. Fortunatamente per noi la mente è rimasto nel miglior brit dell’epoce.
Un po’ a vederli, e un po’ a sentirli il primo richiamo che viene in mente sono i Supergrass, per quell’aria goliardica, per la presa scanzonata con cui affrontano le loro power pop song (rip it up, Stumble & fall) e per quel gusto di lasciarsi andare ogni tanto a qualche brano che sembra uscire dritto dritto dalla fine anni 60 (Golden touch, che assieme alla precedente resta il pezzo migliore del disco). A differenza del terzetto di oxford però i Razorlight non hanno dalla loro un hammond che oltre a fare la differenza tra loro e i supergrass fa anche la differenza tra i supergrass ed il (non più) terzetto di oxford (complicata? vabbè, chi la capisce è un grande!), ma bensì un’altra chitarra. E a dirla tutta i cori come quelli dei ‘grass se li sognano.
Diciamo quindi che i Razorlight potrebbero essere una versione moderna dei These animal men, ma un po’ meno glam o, per restare in ambito moderno, una versione più ruvida dei The killers.
Ascoltando però il disco con attenzione, cercando di non rimanere troppo convolti dall’euforia che regna in ogni brani, si capisce che i Razorlight sono i figli moderni dei Kinks, lievemente macchiati dagli Strokes.
Lo so, così su 2 piedi il parallelo non viene palese, ma la struttura di ogni canzone (e soprattutto i primi demo che si trovano in rete) sono pescati dritti dritti dai Davies. Da questo si capisce il “salto di qualità” (se vogliamo dare meriti alla band) e il lavoro in studio (se vogliamo dare meriti al produttore) che c’è stato sui razorlight. La loro originalità sta infatti nell’arrangiamento delle canzoni che godono di una batteria tanto fresca (Up all night, golden touch) quanto pazza e scatenata (il travolgente finale di In the city, in cui fa da collante per la seguente ballad Hang By Hang By),e di chitarre che invece che prendere sempre accordoni pieni per tutto il pezzo preferiscono lanciarsi in rincorse su una corda o in pennate spezzate che seguono il tempo (come per gli ultimi strokes). Questo particolare “ordine” nei pezzi li porta ad essere distanti dai Libertines, pur prendendo da loro lo spirito scanzonato di Inglesi al pub che non vedono lora di sentire un pezzo su cui cantarci tutti sbronzi su.
In generale Up All Night è quindi un album per divertirsi, che non resterà certo negli annali della storia pur segnando per la band un esordio piacevole, e un buon trampolino di lancio. speriamo sappiano sfruttarlo.