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Cosa sarebbero i Primus in versione strumentale senza il basso continuamente slappato? Un altro gruppo, risposta ovvia.
Infatti gli Sedia sono proprio l’altro gruppo. Una chitarra, un basso, una batteria e tanto noise; tutto questo trasceso dai limiti del post rock, genere nel quale hanno ben piantate saldi le loro radici e spostato in un impianto noise/avantguarde al limite dello schizofrenico. Un impianto fatto di divertimento prima di tutto, lontani dalle calcolate improvvisazioni, dalle reiterazioni sonore, dai manierismi e da tutto ciò che ormai, sfortunatamente, contraddistingue il genere di partenza nonchè dall’inascoltabilità forzata e intellettuale delle sperimentazioni. Qui c’è un basso martellante che sembra quasi essere fatto d’acciaio. C’è una chitarra che sa passare da ossessionanti arpeggi a durissimi pugni in faccia. C’è una batteria anarchica. C’è frenesia, c’è la rilettura delle sonorità che hanno fatto famosi generi come post rock, math rock, noise e hardcore. C’è l’ossessività che palpita quasi dentro lo stomaco di “Mabuse”. C’è “Stalker” che parte sparato come una macchina verso un crash test. C’è “Moholy Nagy” che vive di ritmi sincopati. E poi c’è la furia, che è quello che contraddistingue questo disco, che gli regala la sua forte personalità.
I riferimenti ci sono: si potrebbero citare i Chevreuil per le parti di basso e batteria così di pietra, magari gli Shellac e i Don Caballero per le sonorità frenetiche e a spigoli. Gli Ex per l’anarchia e terrorismo nel scrivere partiture che assomigliano a terremoti. O ancora come attitudine molte band di hardcore. Ma non è principalmente la cosa che importa. Prima di tutto la loro musica è materia. Anzi, citanto una loro intervista: poca cultura, poca idea e poco cuore; soprattutto materia e movimento. Sedia è fatto d’intenzioni. E se le intenzioni sono quelle di cui è rivestito il disco, c’è ben da sperare.
Certo, se poi non fossero un altro gruppo, potrebbero benissimo essere i Primus senza basso slappato e senza voce.