Red Hot Chili Peppers – Blood Sugar Sex Magic

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Mi sono pronunciato più volte sulla particolarità degli anni 90 come scenario della musica rock. Furono anni di passaggio, di qualche nuova tendenza, molti equivoci spacciati per fenomeni, troppi fuochi di paglia e infine qualche cosa realmente interessante. Tra quest’ultime spicca sicuramente “Blood sugar sex magic” dei Red Hot Chili Peppers, gruppo che aveva qualche anno di esperienza in ambito discografico e alcuni album all’attivo, tra cui uno già notevole e di discreto successo (“Mother’s milk”). Ma fu solo con la pubblicazione di “Blood sugar sex magic” che i Red Hot Chili Peppers riuscirono ad imporsi all’attenzione del grande pubblico. Conosciamo tutti la ricetta sonora del gruppo di Flea e soci, ma su questo disco quella particolare miscela di funky, rap, hard rock e sottile psichedelia si fa a dir poco devastante. Inoltre la vulcanica produzione del guru Rick Rubin mette in risalto la straordinaria potenza ritmica della coppia Flea/Smith come raramente capiterà di ascoltare in futuro. Non è da meno la chitarra super dinamica di Frusciante, a suo agio sia tra ricami funky che su esaltanti ed acide escursioni distorte, mentre le vocals di Anthony Kiedis fanno il resto, col suo peculiare rap.
Il disco è realmente stupendo ed è trascinato dai singoli “Give it away”, potente ed adrenalinico funky-rap sorretto da un basso a dir poco ruggente, e “Under the bridge”, maliziosa ballata dal vago sapore seventies, con tutta probabilità il brano più popolare dell’intero repertorio del gruppo. Ma non sono i soli piatti forti dell’opera, che anzi ha, in songs trascinanti come l’opener “The power of equality”, “Breaking the girl”, “Suck my kiss” e la title track, perle altrettanto preziose. E’ un suono maledettamente vigoroso che punta tutto sull’impatto funky-rock miscelato ad una carica melodica davvero perfetta, difficile da riscontrare in quegli anni, per altro difficile da riproporre per i Red Hot Chili Peppers stessi. Nei suoi risultati accessibili, “Blood sugar sex magic” nasconde in realtà forme e percorsi realmente particolari e ricercati, che non vanno intesi come punti di partenza per qualche movimento artistico/musicale, leggasi crossover, che all’epoca qualcuno volle individuare. Sembra più opportuno parlare di uno straordinario episodio di incontro musicale, di fusione, di commistione, che non ha continuità storica, tant’è che il successivo “One hot minute”, bello o brutto che fosse, andò alla ricerca di altri lidi sonori e stilistici mentre il pur buono “Californication”, che vide luce solo nel 1999 con tutte le ambizioni del genere ormai sopite, portò con sé solo delle canzoni sporadicamente ottime, ma con un suono notevolmente appiattito e non brillante come quello di “Blood sugar sex magic”.
Ci resta questo disco, bellissimo, unico, testimonianza di un decennio musicalmente particolare.