Miller, Buddy – Universal United House of Prayer

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Seguo la carriera musicale di Buddy Miller ormai da diverso tempo; fin quasi dall’esordio degli anni ’90. Buddy è un uomo di musica a tutto tondo, a voler essere pignoli è sempre stato più un autore e session man (ma anche produttore) che un singer. Occupazioni queste che gli hanno permesso di guadagnarsi il rispetto della comunità roots americana e di crescere a livello personale. Gli album a suo nome non sono certo pochi, questo è il numero 7, ma nonostante un livello medio più che dignitoso ai suoi lavori è sempre mancato qualcosa. A mio avviso anche “Cruel Moon” , il suo disco più celebrato, aveva un certo retrogusto di incompiuto. Come se al nostro fosse sempre mancato quel non so chè che divide i dischi buoni dai grandi album. Difficile dire di preciso cosa mancasse ai suoi precedenti album, forse solo un pizzico di esperienza o di creatività o più probabilmente una mancanza di sicurezza nei propri mezzi. Fatto sta che mai prima d’ora Miller mi aveva convinto totalmente,nonostante il talento non gli faccia certo difetto sia come autore che come musicista – cantante. Discorsi superati comunque perché questo suo nuovo “Universal United House of Prayer”spazza via ogni possibile dubbio. 11 canzoni splendide che connubiano alla perfezione radici e gospel con una sana ventata di rock e che ci presentano un Buddy Miller finalmente conscio delle proprie grandissime capacità. Si parte con “Worry Too Much” un classica ballata roots rock desertico con percussioni e chitarra elettrica , fresco e potente con un bel ritornello e degli ottimi cori,il fidale in sottofondo impreziosisce il tutto con una sana malinconia che non deve mai mancare in questo genere di canzoni.” There’s A Higher Power” è una delle due cover del disco (il resto dei brani è firmato da Buddy e dalla moglie Julie), rilettura di una brano dei Louvin Brothers interpretata dal nostro in chiave country folk venata di gospel con un irresistibile ritmo “danzaiolo” sostenuto dallo splendido violino di Tammy Rogers. “Shelter Me” unisce il gospel al rock con chitarre dure e ruvide a cui si oppongono melodie vocali tipiche della musica sacra creando uno splendido contrasto. La seconda cover del disco “With God On Our Side” brano di Bob Dylan presente su “The Times They Are A-Changin’”; la versione di Buddy è a dir poco sublime , il nostro la interpreta davvero col cuore in mano regalandoci una prova maiuscola, le liriche dure di Dylan (il brano è una specie di condanna del fanatismo religioso) risultano ancora oggi più che mai attuali e l’arrangiamento epico che Buddy dona la brano non fa altro che esaltarle. Splendida. La successiva “. “Wide River To Cross” è una sublime ballata acustica dal sapore antico, una di quelle canzoni da ascoltare in silenzio facendosi cullare dalla delicata e sognante melodia. “Fire And Water” si staglia invece sulle vette dei monti Apalachi riportando alla luce quei suoni perduti nel tempo ma carichi di un fascino immortale. “Don’t Wait” invece rappresenta il futuro della musica roots con la chitarra elettrica che guida il brano sorretto alla grande dal gioco di voci e percussioni e dal fiddle in sottofondo, prima che si stagli un muro sonoro quasi hard rock. Canzone molto particolare ma di indubbio valore. “This OldWorld” è invece il titolo perfetto per un brano che ci riporta indietro di quasi un secolo, colonna sonora perfetta per una festa paesana di inizio secolo con il violino (grande protagonista di tutto il disco) che guida la danza. A questo punto vale davvero la pena di spendere due parole per le coriste Ann e Regina McCray (figlie di Reverend Sam leader dei Farfield Four uno dei combo storici del gospel nero) il contrasto tra le loro splendide voci tipiche delle cantanti gospel e l’ugola roca di Buddy è uno dei segreti della riuscita del disco, forse quel non so chè di cui dicevamo all’inizio, a dimostrazione che a volte sono i particolari a fare al differenza. Si prosegue con “Is That You” ha sonorità elettriche ma il cuore e l’anima di una grande gospel song. “Returning” vira invece decisamente più verso il roots rock elettrico, ritmo sostenuto , grande melodia, cori coinvolgenti e la innata capacità si stamparsi subito in mente. Ricorda alcune cose di John Mellencamp e scusate se è poco. Si chiude con “Fall On The Rock” uno straordinario gospel tutto incentrato sulle voci di Buddy e delle McCrays. Degna conclusione di un disco davvero ottimo; un lavoro senza cadute di livello, uno splendido viaggio tra la musica tradizionale americana rivista e corretta per gli anni 2000 ma che non rinuncia alla sua grandissima tradizione. Con questo album Buddy Miller fa il tanto agoniato salto di qualità e si leva definitivamente di dosso la scomoda etichetta di eterna promessa per indossare gli abiti del grande songwriter che gli competono.