Con questo speciale di tre puntate cercheremo di far luce sul periodo che comprende la nascita, lo sviluppo, la fine e il ritorno del Progressive Rock, la musica di Genesis, Yes e King Crimson, uno dei generi più discussi della storia del rock, uno dei più amati ma anche contestati, a causa delle radicali e discutibili caratteristiche che lo contraddistinguono. Non abbiamo pretese di completezza: questo articolo va inteso come linea guida per chi ancora non conosce il genere e vuole entrare a contatto con esso e con i gruppi più significativi, ma anche quelli considerati minori che hanno in qualche modo lasciato il segno, cercando anche di dare spazio alla scena italiana, che sarà affrontata in dettaglio nella seconda puntata, sicuramente una delle più interessanti. Non saranno invece trattati approfonditamente, per assoluta estraneità al movimento progressivo, gli esponenti della musica elettronica tedesca degli anni 70 e i gruppi americani tipo Kansas e Rush, di cui comunque forniremo notizie essenziali e le opere di maggior rilievo o influenza.
In questa prima puntata affronteremo i caratteri generali del Progressive, partendo dagli albori fino ai nostri giorni, passando velocemente anche per gli anni 80, riservando particolare attenzione ai tratti del progressive anni 70, notoriamente quello artisticamente più importante. Destineremo gli approfondimenti sui gruppi e sulle opere nella seconda puntata che comprenderà come detto anche la scena italiana, mentre gli anni 80 e il prog contemporaneo saranno trattati con maggiore attenzione nella terza ed ultima puntata.
Buona lettura.
L’alba di una nuova musica
Per comprendere al meglio alcuni aspetti del Progressive Rock è necessario fare un balzo indietro e considerare i tratti della musica rock prima che esso nascesse.
Tutto ciò che intorno al 1950 veniva chiamato rock ‘n’ roll aveva a che fare quasi sempre col disimpegno, col divertimento, con lo svago e per ciò che concerne l’aspetto tecnico/strutturale delle composizioni, esse erano sostenute da un approccio assolutamente minimale e scarno, volutamente indirizzato al semplice svolgimento della singola idea portante, contenuta ed equilibrata attraverso risultati che erano alla portata di tutti. Concetti quali la sperimentazione e lo sviluppo di tematiche e concezioni musicali più impegnative erano relegati al mondo della musica d’avanguardia fiorita nei primi del 900, che per intenzioni e scopi non potevano avere nulla a che spartire col mondo del rock così come era stato sino ad allora. Personaggi comunque fondamentali come Elvis Presley o Chuck Berry erano a conoscenza che la loro musica fosse un qualcosa che si limitava a dare libero sfogo ai movimenti e all’esigenze del corpo, e giammai un mezzo che mettesse in relazione la mente con l’anima. Vedremo come quest’ultimo aspetto sarà invece la dominante assoluta del Progressive Rock.
Se la psichedelia fu movimento soprattutto statunitense, il progressive al contrario trovò i suoi maggiori esempi in Europa, soprattutto in Inghilterra, ma anche in Italia, Francia e Olanda, mentre in Germania si sviluppò un movimento ugualmente interessante, diverso nelle basi e negli scopi, interessato dalla sperimentazione elettronica di gruppi come Tangerine Dream, Popol Vuh, Can, Faust e Neu!, e dal particolarissimo rock cosmico dal vago sapore psichedelico di bands come Embryo, Xhol Caravan e Ash Ra Tempel. Dagli Stati Uniti emersero invece solo i Pavlov’s Dog, autori di un disco d’esordio ottimo e un secondo soltanto discreto, in cui si faceva largo la bella voce del singer David Surkamp, mentre i Kansas e i Rush (che erano però canadesi) non possono essere considerati progressive nell’accezione diffusa poiché mancanti di molte caratteristiche che vedremo, nonostante saranno poi molto importanti per l’affermarsi di certe forme di prog contemporaneo. I motivi di questo totale disinteresse degli artisti americani verso il prog rock vanno individuati nelle caratteristiche del prog stesso,il quale si pone in totale conflitto con gli interessi e le tradizioni culturali americane. E il fatto che un disco stratosferico come l’esordio degli United States of America (1968) sia quasi passato inosservato all’epoca ne è la dimostrazione più tangibile, considerata la sua natura quasi pre-progressiva. Detto questo fu soprattutto grazie all’esempio dei grandi della psichedelia statunitense come Grateful Dead e Jefferson Airplane, ma anche all’evoluzione del folk di Bob Dylan, che cominciarono a delinearsi le possibilità di ampliamento artistico di un rock che lasciava intravedere dunque confini tutt’altro che ristretti. I racconti delle gesta dei gruppi psichedelici arrivavano in Inghilterra grazie alle testimonianze di tipi come John Peel, pendolare perpetuo tra Inghilterra e Stati Uniti, che col suo show radiofonico Perfumed Garden cercava di far conoscere certi nuovi suoni, realmente innovativi, emersi dalle parti di San Francisco e Los Angeles. Questi tentativi trovarono ben presto accoglienza in altri personaggi della Londra artistica come Peter Jenner (produttore, tra gli altri, dei Pink Floyd di Syd Barrett) e ben presto locali storici come l’Ufo e il Marquee divennero gli scenari delle prime gesta della cosiddetta Swinging London. Non meno importante il fatto che cominciò a circolare grande interesse per la poesia e il teatro, più in particolare per i poeti della beat generation, portati alla ribalta in Inghilterra da uno dei personaggi più in vista come Pete Brown, tra l’altro autore in piena epoca progressiva, con i Battered Ornaments prima e i Piblokto poi, di alcuni dischi significativi. Dunque l’intera scena artistica inglese stava cambiando e i tempi erano maturi affinché tale scossone culturale andasse ad investire anche il rock. Questa sorta di rieducazione artistico/musicale, ricavata dall’esperienza americana, in realtà non portò risultati immediati nella parallela scena psichedelica inglese, di gran lunga meno influente di quella statunitense, che si sviluppò sotto la scomoda ombra di quest’ultima, sebbene forte di alcuni capitoli realmente eccelsi. Piuttosto essa preparò il terreno a qualcosa che di lì a breve avrebbe dato forma ad un rock che finalmente si sarebbe identificato con la cultura e le tradizioni inglesi. Con la piena maturazione dei Beatles si cominciò a veicolare la musica rock altrove: già con Rubber Soul (1965) e soprattutto con Revolver (1966) il gruppo di Liverpool aveva cominciato a dar forma a composizioni leggermente più ricercate, fino ad allora rinchiuse nei 3 minuti del 45 giri con il tassativo schema circolare strofa-ritornello e finale a sfumare. Ma fu solo con “Sgt Pepper Lonely Hearts Club Band” (1967) che si registrò un cambiamento radicale che avrebbe finito per influenzare chiunque suonasse rock. Le musiche sembravano aver maggiore consistenza artistica e i ritornelli delle canzoni avevano abbandonato le adolescenziali dichiarazioni d’amore che fino ad allora erano state l’ incredibile fortuna di Lennon e soci, a favore di tematiche legate alle droghe sintetiche come mezzo per il raggiungimento di uno stato spirituale superiore, ma anche al pacifismo, all’impegno politico, alla libertà. Concetti tipici del rock psichedelico, che fu dunque il seme che favorì la nascita di un qualcosa di ancor più ambizioso, forse meno affascinante e inopportunamente pretenzioso per chi concepisce il rock nella forma scarna che aveva avuto fino ad allora, ma senz’altro meritevole di attenzione. E’ il 1967, virtualmente l’anno di nascita del Progressive Rock, mentre se vogliamo individuare il periodo d’oro pare lecito riferirsi al periodo che va dal 1969 al 1974, anni in cui videro luce i grandi capolavori destinati anche a segnare la storia del rock.
1967 – 1976:
10 anni di Progressive rock
Una rivoluzione d’intenti
a. strumentazioni
Ciò che il progressive ereditò dal rock psichedelico non furono le bizzarre tematiche affrontate nei testi, quanto gli atteggiamenti legati alla sperimentazione musicale e strumentale che porteranno, come vedremo, ad approcci stilistici molto seri e ricercati, a virtuosismi d’esecuzione e d’arrangiamento, aspetti per i quali è lecito parlare di vera e propria rivoluzione d’intenti. Con la psichedelia cominciarono ad affacciarsi i primi strumenti elettronici, e questo fu l’anticamera di uno degli elementi chiave del rock progressivo, ovvero il prepotente affermarsi delle tastiere analogiche, in particolare dei Moog e dei sintetizzatori, macchine elettroniche che intervenivano direttamente sull’onda e sulle frequenze simulando i suoni di voci, archi e strumenti a fiato. Queste nuove strumentazioni, in molti casi, si sostituiranno alla chitarra, fino ad allora lo strumento principe del rock tutto. La prima rivoluzione è evidente dunque nell’impiego della strumentazione, non ci sono più esclusivamente basso-chitarra-batteria ma sono le tastiere ad essere le vere protagoniste ora: dal leggendario organo Hammond al nuovo Mellotron, uno strumento a tastiera simile nell’aspetto ad un organo o ad un sintetizzatore, ai cui tasti corrispondevano dei loop preregistrati di suoni derivati da sezioni di cori, addirittura di orchestre, dal risultato davvero sinistro e particolare. Si contano a decine le bands cosiddette “triangolari”, sulla scia dei famosi “blues power trio” à la Cream, senza chitarra e con la tastiera assoluta protagonista, tra cui ricordiamo i celebri Emerson Lake & Palmer, gli Egg, i Quatermass e i Nice. Sebbene strumenti che circolavano tra gli avanguardisti da ormai 30 anni, i moog e i sintetizzatori ebbero modo di sfoggiare in questa era musicale tutte le loro potenzialità. La particolarità di queste strumentazioni, non ultima quella di essere notevolmente ingombranti, complicava la trasposizione dal vivo delle musiche dei gruppi progressive, che sul palco preferivano colpire gli spettatori con trovate sceniche, maschere e costumi sgargianti e atteggiamenti fantasiosi in cui avevano terreno fertile gli smisurati ego di personaggi come i Genesis di Peter Gabriel. Per facilitare le operazioni di allestimento degli spettacoli live venne inventato il mini-moog, una versione più piccola e più maneggevole del più noto e mastodontico Moog, facilmente trasportabile e più adatto dunque alle dimensioni, spesso limitate, dei palcoscenici dell’epoca. Va detto inoltre che la musica dei gruppi progressive fu essenzialmente musica da studio, non per le doti tecniche dei musicisti, notoriamente enormi, ma per questi disagi di carattere logistico in aggiunta alle comprensibili difficoltà nel riproporre on stage gli intricati arrangiamenti e le particolari trovate tecniche ad effetto, in un’epoca dove ancora non vi era il supporto dei computers. Non si ricordano infatti dischi dal vivo memorabili, fatta eccezione per “Yessongs” degli Yes, “Seconds out” dei Genesis e pochi altri.
b. liriche
Sul versante lirico cominciò a farsi largo un certo gusto per il riferimento colto tramite la citazione di frammenti letterari o per alcune tematiche fantascientifiche. Ma più diffusamente prese campo una certa propensione per “l’incomprensibile”, ovvero testi che non si sapeva bene cosa affrontassero, che comunque raccontavano di paesaggi e ambientazioni fiabesche con personaggi di sicuro rimando Tolkjeniano e vicende legate quindi alla cultura fantasy. Trovarono spazio anche notevoli ghirigori esistenziali, per i quali il progressive rock sarà ricordato anche come uno dei periodi più depressi del rock. Alla luce di quanto precisato nel paragrafo precedente circa la rivoluzione culturale che segnò gli ambienti artistici dell’epoca, si notò un certo interesse per l’arte figurativa che andò a far parte del mondo della musica rock progressiva nell’ambito delle copertine, autentiche opere d’arte che acquistavano ancor più fascino se accostate alla musica che contenevano. Ci piace ricordare l’arte di Roger Dean, per anni a servizio dei lavori degli Yes. Sul fronte letterario invece ecco la nascita dei primi poeti rock (Peter Hammil, Pete Sinfield, Peter Gabriel), che si cimentavano spesso in vere e proprie opere letterarie legate ad arte agli umori e ai momenti delle musiche, più comunemente conosciute col nome di Concept Album, termine che andrà a definire anche dischi di altri artisti estranei al genere come i Pretty Things di “S.F. Sorrow”, uno dei pochi capolavori della psichedelia inglese, o i famosissimi Who di “Tommy”.
c. strutture e riscontri in opere e protagonisti
Secondariamente sta nella forma-canzone la rivoluzione del Progressive: essa viene rifiutata come rigidità strutturale e non crede più al ritornello come massima invenzione musicale. I brani diventano molto articolati, con cambi di situazioni musicali diverse nell’ambito dello stesso pezzo, con variazioni di tempo nella ritmica e arrangiamenti molto ricchi e celebrativi.
In altre parole il progressive rock fu il genere che sgretolò per lungo tempo lo schema classico della pop song radiofonica di breve durata, e cominciò ad introdurre il gusto per composizioni più dilatate, dal dichiarato rimando alla musica classica. Fu infatti il periodo delle rock suites, altro elemento chiave del genere, ovvero di composizioni lunghissime (in alcuni casi lunghe anche una facciata intera di un vinile), suddivise in movimenti, che non potevano trovar spazio nei 45 giri per ovvi motivi tecnici, portando quindi a grande ribalta il mercato dei 33 giri, che registrò il notevole interesse delle case discografiche, che pensarono bene di far nascere vere e proprie etichette dedicate al settore, come la Vertigo, la Harvest (costola prog della Emi), la Chrysalys, la Deram (costola prog della Decca). L’umore di queste composizioni era quasi sempre un’ alternanza tra toni cupi e sommessi ad altri maggiormente trionfali, sottolineati da virtuosismi strumentali senza precedenti nella storia del rock (altro elemento chiave del progressive), vere dimostrazioni di padronanza tecnica che andranno a comporre passaggi volutamente intricati, melodie ora soavi, ora bizzarre e ricercate su basi che potevano avere estrazione blues, hard rock, in qualche caso pop, con richiami anche all’armonia modale. In questo clima emersero veri e propri virtuosi delle tastiere come Vincent Crane, Keith Emerson, Dave Stewart e Rick Wakeman, straordinari chitarristi come Steve Howe e Steve Hackett, o ancora fenomenali batteristi come Bill Bruford e Phil Collins. La citazione della musica classica non fu limitata essenzialmente al punto di vista strutturale o lirico, ma fu qualcosa di notevolmente evidente nella ripresa, rilettura e proposizione di temi musicali classici in chiave rock. Fu cosi che si cominciò anche a parlare, forse anche in modi impropri, di rock sinfonico. I primi esempi si hanno con le bands considerate di confine, nate cioè a cavallo tra la fine delle suggestioni psichedeliche e l’inizio delle tonalità progressive. Nella fattispecie i Procol Harum riuscirono a consegnare al grande pubblico l’ “Aria sulla 4 corda” di Bach attraverso l’ingenuo pop di “A Whiter Shade of Pale”, mentre furono di gran lunga più importanti e interessanti i tentativi realizzati dai Nice di un giovane e promettente Keith Emerson, che continuerà nella sua carriera a rileggere in chiave rock la musica classica di Mussorgski, Beethoven e Bach. I Moody Blues pubblicarono nel 1967 il loro capolavoro “Days of Future passed”, disco in cui figura anche una orchestra sinfonica per il quale venne utilizzato il termine rock barocco.
Persino il jazz venne inglobato nelle bizzarre strutture e sfaccettature tecniche di certe forme di progressive, tant’è che si cominciò a parlare di Jazz Rock per alcune formazioni soprattutto della scena di Canterbury come i Soft Machine, o certi lavori dei Gong del secondo periodo, i Nucleus e i francesi Magma, il gruppo più interessante uscito al di qua della Manica, altamente ispirati dal free jazz e autori di una musica tra le più ricercate e difficili dell’epoca.
Anche un genere sulla carta lontanissimo per attitudine e scopi come il blues finì per essere travolto da questa nuova cultura, tant’è che molte delle blues bands facenti parte della notevole scena inglese, dominata da personaggi come John Mayall e Rory Gallagher, finirono per accogliere nel proprio sound alcuni riferimenti del progressive rock, come ad esempio i Groundhogs, gli Spooky Tooth o gli Steamhammer che in quel clima dettero alle stampe i loro capolavori uscendo quindi dall’anonimato. Sempre per sottolineare la vastità di versanti musicali influenzati dal verbo progressivo, andiamo a segnalare la presenza di una manciata di gruppi che declinarono il progressive secondo una matrice folk, vale a dire i leggendari Comus, i Tudor Lodge, i Barclay James Harvest e i geniali Jan Dukes De Grey, autori con “First Utterance”, “Tudor Lodge”, “Gone to earth” e “Mice and Rats in the Loft” di alcuni tra i dischi più sensazionali e particolari dell’epoca. Infine, la musica elettronica e più in generale la musica d’avanguardia fu importante per la nascita artistica di Robert Fripp e dei suoi King Crimson, alle prese con composizioni ed esperimenti sonori legate all’introduzione di un nuovo e delicatissimo strumento, il già citato mellotron, destinato ad essere uno dei marchi riconoscibili del genere e assoluto protagonista dei primi dischi dei King Crimson e non solo.
I Pink Floyd furono toccati fugacemente dal prog nei tentativi elettronici materializzati sul VCS3 e sul Synthi A, macchine elettroniche molto diffuse in quegli anni, tra l’altro ben udibili su “On the run”, mentre altri gruppi, totalmente estranei al movimento ma frequentemente nominati quando si parla di prog, quali i Jethro Tull, ebbero modo di passare per gruppo progressivo allungando sensibilmente i tempi delle loro composizioni, dando alle stampe due album composti esclusivamente da due suites non propriamente memorabili come “A passion play” e “Thick as a brick”. Noi preferiamo ricordare i Jethro Tull per i convincenti spunti folk, soltanto a tratti tinti di progressive, dello storico e sempreverde “Aqualung”. Di gran lunga più efficaci gli olandesi Focus, che partendo da basi simili a quelle dei Jethro Tull, riuscirono a pubblicare alcuni dischi molto significativi, come ad esempio “In and out of Focus”.
Ma fu con i dischi di confine che si arrivò gradualmente a parlare di rock progressivo: “Music in a doll’s house” dei Family, “Escalator” dei Sam Gopal, il già citato “Days of future passed” dei Moody Blues erano dischi in cui si cominciava a delineare un atteggiamento post psichedelico che tendeva ad una prima forma di proto prog che avrebbe dato di lì a breve il la ai grandi capitoli del genere. Nel 1969 si cominciò a parlare di vero e proprio progressive rock con l’uscita di “In the court of the crimson king” dei King Crimson, un esordio dal grande impatto storico, in cui il mellotron ricopre un ruolo di assoluto protagonista conferendo un incredibile senso drammatico, in aggiunta a straordinari episodi caratterizzati da liriche ricercate e musiche solenni (si veda la title track) destinate a rimanere nella memoria di tutti, distanti dalle citazioni classiche di altri artisti loro contemporanei come Nice, Procol Harum e Moody Blues e invece avviati verso una proposta più personale; inoltre vi fu “Valentyne Suite” dei Colosseum (il primo disco dell’etichetta più importante del settore, la Vertigo), una delle opere che preparerà il terreno al jazz rock. Dunque trattasi di veri e propri manifesti, due tra i dischi più importanti dell’intero movimento. Dopo questi due esordi videro luce quelle opere straordinarie che vanno a comporre la stagione d’oro del progressive come “Close to the edge” degli Yes, affascinante esempio di prog dominato dalle tastiere di Rick Wakeman, in relazione con gli straordinari contrappunti della chitarra di Steve Howe e l’angelica voce di Jon Anderson, il tutto sorretto dal fantasioso drumming di Bill Bruford e dal poderoso basso di Squire; “Nursery Crime” dei Genesis ovvero uno degli esempi ricorrenti di prog classico; l’omonimo degli Emerson Lake & Palmer con un Keith Emerson ancora intelligentemente misurato nelle sue dimostrazioni di tecnica, tanto da lasciare la scena, a tratti, alla bella voce di Lake e alla potente batteria di Palmer, costui già dietro ai tamburi degli Atomic Rooster di Vincent Crane nell’omonimo e grande album del 1970, dopo il quale Crane continuò senza Palmer pubblicando almeno un altro capolavoro come “Death Walks Behind You”; l’omonimo dei Gentle Giant in cui si notarono intricatissimi ricami vocali, e ancora quello degli Hatfield and the North, raffinato e al contempo complesso, e dei Quatermass, questi ultimi autori di un sound a metà strada tra Deep Purple e EL&P; nonché “Pawn hearts” dei Van der graaf Generator in cui si fecero largo atmosfere gotiche e più drammatiche grazie anche alle personalissime interpretazioni vocali di Peter Hammill, con tutta probabilità il più grande singer uscito da questo movimento; non tralasciamo i lavori degli italiani Pfm come “Storia di un minuto”, “Felona e Sorona” delle Orme, “Io sono nato libero” del Banco e i primi lavori di Franco Battiato, dischi amatissimi dagli appassionati del genere e anche da chi si è riconosciuto in altre forme musicali, che inevitabilmente forniranno anche spunti infiniti per la musica che verrà. Non va dimenticato che il progressive rock fu movimento interessante anche per quanto riguarda il flusso underground, dominato in quegli anni da bands come i Deviants di Mick Farren, autori di un acid rock per certi versi rivoluzionario. L’underground progressivo vide dunque la pubblicazione di dischi immensi come l’omonimo degli Spring, in cui è ancora una volta il suono del Mellotron a rapire le attenzioni, e quello degli Indian Summer, gli Egg sempre col disco omonimo del quale si parlò di estetismo tastieristico e di “musica da ascoltare e non da ballare”, o i Beggar’s Opera di “Waters of change”, “Asylum” dei Cressida, “Ballad of a peaceful man” dei Gravy train, i Nektar di “Remember the future”, “Heavy rock Spectacular” dei misteriosi Bram Stoker, autori di uno dei dischi più sensazionali di prog tastieristico, peraltro opere all’epoca rarissime ma ristampate di recente, sia in lp che in in cd, da etichette come la Repertoire e la Akarma, esclusivamente interessate alla riscoperta di dischi ingiustamente dimenticati. Sono lavori in cui sono presenti, né più né meno, gli stessi elementi progressivi di quelli degli artisti maggiormente conosciuti, arrivando in qualche caso anche ad essere più interessanti per il fascino espresso. Inoltre l’underground registrò la sensibile affermazione di alcune bands tra le più peculiari di sempre, che mettevano in rilievo o un notevole gusto per l’esotismo musicale, che andava a riprendere talvolta i temi della psichedelia, come ad esempio gli East of Eden di “Snafu” in cui si noterà un notevole gusto per ricami melodici dal sapore orientale, i Tea & The Symphony autori di un disco bizzarro e per certi versi pazzesco per le trame vagamente teatrali di “An asylum for the musically insane” o la amabile complessità strumentisca della Third Ear Band, oppure una certa propensione per atmosfere dark e sataniste come gli High Tide o i Black Widow, ben espresse in lavori come “High Tide” e “Sacrifice”, quest’ultimo vicino per certe lugubri atmosfere al primo periodo dei Black Sabbath.
Non di minore importanza fu la cosiddetta scena o scuola di Canterbury, una delle più amate dagli appassionati e passata alla storia per le peculiari ambientazioni fantasy, gli echi fiabeschi e un certo gusto per alcune atmosfere oniriche, di cui fanno parte molte tra le più importanti bands come gli Hatfield & the North, i Caravan (forse il gruppo più rappresentativo), i Camel (i più sfortunati in termini di popolarità), gli Egg e i Khan, con dischi dalle melodie raffinate e ritmi notevolmente pacati, come “The snow goose” (Camel) e “In the land of grey and pink” (Caravan). Fanno parte della scena di Canterbury, ma solo per motivi geografici e non stilistici, i già citati Soft Machine (dai quali vanno segnalate inoltre le pregevoli carriere soliste degli ex Robert Wyatt e Kevin Ayers) che dopo due album psichedelici si avvieranno con “Third” verso il jazz rock, e anche gli Henry Cow, uno dei complessi più originali ed innovativi della storia del rock, le cui musiche, strutturate all’interno di un rock totale e molto estroso, affascinarono gli appassionati per almeno un lustro.
d. conclusioni
Il progressive fu quindi musica estremamente ricercata e complessa destinata ad un pubblico intellettuale, in cui l’artista non era più interessato allo sballo delle visioni psichedeliche, sebbene queste furono il cantiere ideale del prog, ma voleva creare una vera e propria opera d’arte dalle forme ambiziose, ragionate, che portassero l’ascoltatore verso qualcosa di unico e largamente impegnativo, che mettesse in relazione le potenzialità concettuali della mente con la sensibilità dell’animo, la necessità della sperimentazione come punto di partenza per il raggiungimento di un’arte colta e ingombrante che si lasciasse dietro e per sempre qualsiasi attitudine artistica legata al divertimento. Questi tratti di intellettualismo sono i motivi per cui questo genere viene spesso criticato e guardato con occhi d’antipatia, accendendo sempre mille discussioni tra gli appassionati. Spesso gli è stato contestata una eccessiva tendenza all’inconcludenza e alla prolissità, nonché il fatto che trattandosi in fondo di rock, quindi di una musica costituzionalmente non seria, certi toni colti avrebbero potuto essere maggiormente pacati.
Declino e Rinascita
Dopo il 1974, anno in cui videro luce alcuni capolavori come “The lamb lies down on Broadway” dei Genesis, “Red” dei King Crimson o “Rock Bottom” di Robert Wyatt, si cominciarono a notare alcuni cenni di decadimento, legati ad una sempre più evidente autocitazione e ad un fastidioso ripiegamento su loro stesse di quelle caratteristiche che definirono il genere, andando a estremizzare concetti che non sembravano più avere il respiro, la grazia e la solennità di qualche anno prima. Il primo segnale di declino si ebbe con “Tales from topographic Ocean” degli Yes, mastodontico doppio album costituito da 4 interminabili e confusionali suites di 20 minuti ciascuna, amate soltanto dai fans incalliti dalla band. Già nel 1975 molte bands si avviarono verso un fortissimo declino che avrebbe portato poco più tardi o ad uno scioglimento (King Crimson), o ad un deciso cambio di rotta stilistico con alcuni membri storici passati a ben altre esperienze artistiche (Yes, Genesis, Camel). Gli unici a non risentire del declino del Progressive furono i Pink Floyd che in quegli anni continuarono a pubblicare dischi bellissimi e di gran successo come “Wish you were here” e “The Wall”. Va anche detto che i Pink Floyd non furono propriamente un gruppo progressive: sembra più opportuno dire che vi entrarono da una porta secondaria prendendo solo qualche spunto (visibili a tratti in “Atom Heart Mother” per l’omonima suite dal sapore sinfonico e in qualche momento di “Dark side of the moon”) congeniale al loro sound, e uscirono senza che nessuno se ne accorgesse. Di lì a breve nuove tendenze in totale antitesi col progressive ( leggasi punk), avrebbero preso campo, e il prog svanì e morì a causa della folle estremizzazione di quelle stesse caratteristiche che gli diedero vita. Segno inequivocabile che il mondo adesso aveva bisogno di un ritorno ad una musica più diretta, d’impatto e, perchè no, più semplice, anche se fu proprio in epoca punk che i tedeschi Eloy pubblicarono i dischi più significativi della loro discografia progressiva e gli inglesi Enid, nati da una costola dei Barclay James Harvest, si fecero notare per qualche spunto interessante.
Dunque fu solo una morte apparente. Agli inizi del 1980, mentre i King Crimson erano tornati con una formazione tutta nuova, – ad eccezione di Bill Bruford e, come ovvio, di Bob Fripp – e con tre dischi (“Discipline”, “Beat”, “Three of a perfect Pair”) tanto belli quanto distanti dal progressive che contribuirono ad introdurre più di 10 anni prima e uno dei personaggi storici come Peter Gabriel avviato verso una carriera solista di gran successo e dai notevolissimi tratti artistici, qualcuno avvertì ancora il bisogno di parlare quella lingua colta e affascinante, dando vita ad una nuova ondata di gruppi inglesi per i quali fu individuato un nuovo movimento artistico conosciuto col nome di New Prog o Neo-Prog. In questa nuova corrente artistica, caratterizzata nuovamente dal predominio delle tastiere nonchè da sonorità tipicamente “sintetiche” degli anni 80 su composizioni talvolta più snelle ed abbordabili rispetto a quanto sentito nella decade precedente, confluivano bands come Marillion, Iq, Pendragon, Asia, Pallas, Twelfth Night, alcune ancora in attività, chiaramente ispirate dal progressive classico soprattutto dei Genesis attraverso modi fin troppo palesi, talvolta ai limiti del plagio. Questo fu il motivo per cui molti appassionati storici storsero il naso di fronte a questa nuova generazione di artisti, tra i quali spiccavano anche forti personalità come Fish, Peter Nicholls, Nick Barrett e Clive Nolan che si preparavano ad essere i nuovi idoli degli amanti di questo genere. Comunque sia questi gruppi pubblicarono dischi obiettivamente ottimi, come “Misplaced Childhood” dei Marillion, “The wake” degli Iq, “Asia” degli Asia, e “The Jewel” dei Pendragon, che rinfrancarono gli animi degli appassionati delusi dagli Yes di Trevor Rabin e dai Genesis di Phil Collins, entrambi alle prese con un pop tanto elegante quanto inutile, e contribuirono a loro volta alla nascita di nuovi orizzonti stilistici e rinnovate ambizioni che andarono ad allargare le potenzialità di contaminazione addirittura nell’Heavy Metal. Intorno al 1988, con il contemporaneo declino dei Marillion, metal bands come i Fates Warning, i Queensryche, i Crimson Glory, e persino gli Iron Maiden con “Seventh son of a seventh son” tentarono le prime “progressioni” su base metal, cosa che fu comunque già tentata anni prima, con successo e ottimi risultati, dagli americani Kansas e soprattutto dai Rush di dischi come “Hemispheres”, “2112”, “Farewell to kings” ma soprattutto “Moving Pictures”. Gli anni 90 ci portano inevitabilmente a parlare dei Dream Theater, autentici mostri di bravura esecutiva formatisi con il mito della tecnica ma non sempre abili compositori. La loro sensazionale miscela di prog, metal e fusion si concretizzò con ottimi risultati in special modo in un disco – “Images and Words” – il quale sconvolse tutto il metal tecnico degli anni 90. Grazie ad “Images and Words” il mondo intero conobbe il progressive metal, altro (sotto)genere che tanto ha fatto e continua a far discutere. Nonostante l’enorme mole di gruppi nati sulla scia dei Dream Theater, furono ben pochi i nomi prog metal degni di nota. In molti casi si spacciavano per prog gruppi metal che sovrarrangiavano il proprio hard rock con linee di tastiera molto appariscenti e qualche passaggio complesso che non aveva nessuna attinenza col progressive. In altre parole si cercò solo di cavalcare l’onda creata dal fenomeno Dream Theater, qualcuno parlò anche e non a torto di una nuova moda seguita quasi esclusivamente da appassionati facilmente suggestionabili dai prodigi della tecnica. Insomma, come possibilità di evoluzione, il prog metal non fu propriamente un tentativo felice: ben presto esso mostrò tutti i suoi limiti, da ricercarsi soprattutto nella ferrea morsa di canoni “anti-creativi” e chiusi che ebbe modo di mostrare, il cui principale effetto fu quello di creare solo molti cloni delle bands più famose. Fu comunque grazie al fortissimo impatto dei Dream Theater se si tornò nuovamente a parlare di prog negli anni 90: furono rivalutati i classici, molti giovani si avvicinarono alle grandi opere di King Crimson, Yes e Genesis, ma anche Rush, e come conseguente effetto si verificò l’ennesima nuova ondata di gruppi rock progressive, per i quali alcuni parlarono di neo-neo prog (!) per sottolineare la seconda rinascita del genere, questa volta provenienti anche dagli Stati Uniti come gli Enchant e gli Spock’s Beard, forse il gruppo più interessante della nuova generazione, i quali con il bellissimo “The light” riuscirono a tirar su un affascinante tomo di progressive totale, che dal prog classico riprese solo i motivi strutturali e d’arrangiamento, in alcuni casi davvero sopraffini, ma non quelli squisitamente tematici.
Non meno interessante fu la prolifica scena scandinava con gruppi assai dotati come Flower Kings, Anekdoten e Anglagaard (questi ultimi davvero forti di un sound eccezionale), con l’Inghilterra stavolta in ombra poichè interessata soprattutto a dar vita all’allora nascente fenomeno brit pop e consentì solo ai Mostly Autumn, una formazione con basi folk d’estrazione celtica e accattivanti spunti progressivi in realtà troppo ancorati alle sonorità dei Pink Floyd, di emergere. A questi si aggiunsero alcune project-bands di buon successo come i Jadis, in cui troviamo alcuni membri degli Iq, e gli Arena, questi ultimi nati da una costola dei primi Marillion, ovvero il batterista Mick Pointer, e da alcuni membri sparsi di altri gruppi neo prog come i Pendragon (il tastierista Clive Nolan) e Asia, il cui valore è interamente espresso in alcuni spunti, in special modo chitarristici, dei primi album, in una onesta rilettura del new progressive anni ’80, senza gridi al miracolo. Fanno eccezione i Porcupine Tree, di gran lunga il gruppo più interessante degli ultimi 10 anni, che partirono da basi psichedeliche ed elettroniche per approdare ad un sound, quello attuale, molto personale e solo in parte influenzato da vaghi elementi progressivi. Da registrare inoltre il ritorno su buoni livelli di alcune bands neo progressive stroriche, come i Pendragon di “The Masquerade Overture”, e gli Iq, addirittura straordinari sia su “Ever” che sul doppio album “Subterranea”, con un Peter Nicholls, peraltro autore di prestazioni vocali sublimi e rientrato in casa Iq dopo una breve dipartita, mentre i Marillion si avviavano verso altre soluzioni artistiche non sempre capite dagli appassionati. Ma il tempo darà poi loro ragione.
Nello stesso momento la Germania si proponeva, senza successo, di scovare la risposta europea ai Dream Theater (leggasi Vanden Plas e Ivanhoe) con l’appoggio discografico della Inside Out e di qualche produttore navigato e testardo come Limb Schnorr, l’Italia fece mostra di alcuni gruppi interessanti, tra cui spiccano gli emiliani Deus ex Machina, dal peculiare cantato latino su musiche fusion/prog altamente complesse. La risposta ai Dream Theater comunque non tarderà a venire, ma non sarà tedesca, bensì scandinava ancora una volta, ovvero i bravissimi Pain of Salvation di “The perfect element”, diversi stilisticamente, indirizzati verso una musica dalle atmosfere maggiormente “scure”, ma ugualmente bravi, forse ancor più originali del gruppo statunitense. In più, con l’interesse verso il Prog nuovamente risvegliato, molte delle bands storiche, ad eccezione dei Genesis di Phil Collins sempre più interessati alle hit parade, come gli Emerson Lake & Palmer, i King Crimson e gli Yes si riunirono a più riprese per pubblicare nuovi dischi (a dire il vero non sempre degni del loro nome e della loro storia) e per dar vita a live celebrativi, mentre gli italiani PFM, Orme e Banco abbandonarono i lidi quasi pop degli anni 80 per tornare verso sonorità maggiormente legate al loro glorioso passato.
Nonostante le svariate rinascite e alcuni gruppi senz’altro notevoli, il problema del rock progressivo moderno è che quasi mai ha sviluppato un’ identità propria che prescinde dai riferimenti storici, visto che le dipendenze stilistiche verso i grandi del passato sono sempre apparse fin troppo evidenti, tant’è che in qualsiasi descrizione o recensione di questi artisti si finisce sempre per far riferimento ai soliti noti, Genesis e Yes in particolar modo. Fanno eccezione, e ci piace ricordarlo, i Marillion di Steve Hogarth, in cui il prog moderno ha ricoperto essenzialmente un ruolo di spinta iniziale verso uno stile molto personale che oggi, ma dovremmo dire da alcuni anni ormai, non condivide più nulla con il prog degli esordi, ma che al contrario si lascia apprezzare per originalità e freschezza.
Pertanto in quei gruppi che hanno proseguito la strada delle riletture classiche si è di fronte ad un progressive quasi sempre di celebrazione, fortemente derivativo, lontano dagli spunti e dalle ambizioni di novità ed avanguardia che animarono i grandi gruppi degli anni 70, pertanto in netta contraddizione con gli aspetti costituzionali del genere. Dunque è come se il progressive si fosse fermato alle coordinate stilistiche fornite dai gruppi storici, mostrando forti limiti di evoluzione e grave incapacità di riproporsi attraverso sonorità fresche e più attuali, caratteristiche che in altri ambiti musicali possono essere anche snobbate ma che i gruppi Progressive non possono certo trascurare, poichè facenti parte della “missione” principale di questo genere.
Torneremo sul prog moderno e contemporaneo, con approfondimenti su artisti e opere, nelle prossime puntate.
Non mancate!
Nella prossima puntata : I protagonisti degli anni 70
Samuele Boschelli & Tabitha Frulli