The Decemberists – Picaresque

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Ci sono due aspetti che saltano subito alle orecchie di chi ascolta i Decemberists: il primo è che fanno pop, ma lo fanno in maniera strana in quanto la loro musica contiene moltissimi elementi popolari, fisarmoniche, organi e chi più ne ha più ne metta. Il secondo è la voce nasale di Colin Meloy, che vanta alle spalle una laurea in scrittura creativa e una carriera mancata da romanziere. Dopo la parentesi elettrica di The Tain, i Decemberists tornano nel loro covo: risacche, marinai in porti ubriachi e quel clima di epico e surreale, come di un novello Ulisse vestito con salopette e camicione a quadri. Stavolta il mezzo narrativo diventa il picaro, caratteristico insieme di personaggi presi in prestito dalla novella seicentesca spagnola, come seicentesca è la bellissima The Infanta – a fare da perfetto apripista a suon di marcia regale e organo. L’inizio è folgorante: la penna di Meloy dipinge scenari epici, che si tingono di drammaticità (We Both Go Down Togheter), grazie anche al violino di Pedra Haden sempre al confine tra mare (i quasi otto minuti di Mariner’s Revenge Song) e terra (il western in mezzo ai prati spagnoli di Ely The Barrowboy). Questa volta però le influenze si lasciano sentire troppo pesantemente dopo le prime tre tracce: i forti echi di Smith e Belle And Sebastien in The Sporting Life e, in generale, il retaggio folk a tutti i costi pesano all’economia del lavoro, ed in genere ci si trova davanti un disco che non riesce, a parte gli episodi citati, più a colpire, trascinandosi addirittura esangue – ad esempio The Bagman’s Gambit.
La ricerca del pop perfetto sembra essere a buon punto, c’è solo da superare il piccolo problema del manierismo che prepotemente emerge da questo lavoro.