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I Van Der Graaf Generator sono sempre stati un gruppo insolito nel panorama progressivo: mai eccessivi strumentalmente, tanto meno sbilanciati sul fronte della discutibile tematica fantasy, piuttosto forti di un sound drammatico e affascinante, agro e poetico, disteso su una discografia che ha stazionato sempre su altissimi livelli, anche negli anni di declino. “Vital”, l’album live che segnò la fine dell’esperienza Van Der Graaf, è datato 1978; da allora i membri del gruppo hanno costruito carriere soliste brillanti, come nel caso di Peter Hammill (per la verità costui aveva già all’attivo alcuni dischi solisti straordinari, su tutti “Fool’s Mate” e “Chameleon in the shadow of the night” ), e collaborazioni illustri come nel caso invece di David Jackson, sassofonista del gruppo, nonché uno dei tasselli più influenti nell’ economia sonora della band. Ce li troviamo adesso, quasi 30 anni dopo, con la formazione storica, notizia che nei mesi scorsi ha fatto crescere i soliti dubbi sulla reale consistenza artistica di questo progetto – ma non è certo colpa dei Van der graaf generator se Yes e Emerson Lake & Palmer soprattutto hanno sdoganato negli anni recenti dischi ai limiti della ciofeca, infangando anzitempo la reputazione di qualsiasi altro tentativo di reunion – e che al contrario, diciamolo subito, va a firmare alcuni momenti tra i più brillanti di tutta la loro carriera. Con in più, tra l’altro, un Peter Hammill in stato di grazia. Tutto ciò lo han fatto su “Present” , (doppio) album che se ne infischia di oltre 25 anni di musica rock, punk, wave, pop, rimane saldamente ancorato alle sonorità degli anni 70 e che rivive la straordinaria solennità tipica di lavori come “Still life” (album oltremodo sottovalutato) o anche del sommo capolavoro riconosciuto “Pawn Hearts”. Non ci sono concessioni a modernismi inopportuni, il tempo sembra essersi fermato, la navetta Van Der Graaf Generator ha condotto i nostri eroi in un arco temporale sospeso tra il 1972 e il 1975, con risultati per di più sorprendenti, come nel caso della straordinaria opener ”Every Bloody Emperor”, elegantissima composizione che trafiggerà il cuore non appena la voce di Peter si insinuerà nei vostri speaker. I saliscendi melodici sono quelli di un tempo, le soluzioni armoniche non si distaccano dai quei ricordi che hanno incoronato il gruppo di Hammill come una compagine intoccabile, graziata anche dai detrattori più feroci, pronti a muovere critiche, a volte anche giuste, verso ritorni di fiamma più o meno opportuni. Eccezionale il lavoro di David Jackson ai fiati, toccante come ai bei tempi, un sax e un flauto che lasciano sulla pelle indescrivibili sospiri notturni, sospesi a ricamo, dinamico e crescente, attorno ad un Peter Hammill stratosferico e drammatico come non mai, mentre Evans sostiene con opportuno gusto jazz. Lo straordinario epilogo del brano, tra dissonanze dal sicuro sapore festaiolo sostituite subito da crescendo inquietanti, non lascia spazio a dubbi od incertezze: questo è il nuovo classico del gruppo. Non si fa in tempo a riprendere fiato, che subito un’altra perla va ad impreziosire la nostra anima, quella “Boleas Panic”, un maledetto jazz rock firmato David Jackson che non vuole uscire dalla mia testa, in cui l’accoppiata Jackson/Evans la fa da padrone, ben sostenuta dall’organo di Hugh Banton che distende tappeti acidi per una composizione che si distingue per un piacevolissimo gusto retrò. Si prosegue su livelli altissimi anche per l’immediatamente successiva “Nutter Alert”, composizione di Hammill, vibrante ed indiavolata, strutturata su un giro di piano elettrico vincente e sui soliti crescendo di sax e organo tipici del repertorio più rappresentativo dei Van Der Graaf Generator, in cui la voce di Peter si mantiene a metà strada tra canto e qualcosa di più, come da sua tradizione. Ma se volete aver prova delle immense qualità di Peter Hammill saltate subito su “Abandon Ship!”. Su questa bizzarra composizione il Cantante si rende protagonista di una interpretazione sublime ed esemplare per toni teatrali, su una base strumentale altamente complessa e articolata che avrebbe creato più di un grattacapo a qualsiasi professionista del microfono. Peter Hammill al contrario non si scompone, semplicemente ci regala una delle performance più spettacolari della sua carriera e conferma una volta di più di non avere confronti degni di nota come interprete. Per la successiva “In Babelsberg” continua la sua straordinaria prova su incredibili intrecci chitarra / sassofono, inaciditi a turno da distorsioni laceranti che conferiscono un totale senso di inquietudine. I toni tornano ad essere maggiormente sommessi su “On the beach”, romantica composizione che chiude “Present” e che vede un toccante Hammill aggirarsi tra i sentieri incantevoli disegnati dal suo piano elettrico, subito impreziositi dal solito sax di Jackson che favorisce a sua volta una graduale crescita in territori jazz rock. C’è spazio anche per un cd2, in altre parole oltre 60 minuti di gustosissime improvvisazioni in studio, col motore del gruppo a pieni giri tra fughe dal vago sapore prog/psichedelico ad altre dal chiaro trademark Van Der Graaf. Su tutto questo sperimentare rimane eccellente la performance di David Jackson, in grado di incantare a più riprese col suo sax altamente evocativo, ora su basi jazz rock, ora su un rock che spinge verso territori di avanguardia. Dunque un ritorno che ha davvero del miracoloso, soprattutto perché in tutti questi anni quasi nessuno, dai Pink Floyd agli Yes, da EL&P ai King Crimson – quest’ ultimi rimangono comunque i più dignitosi sebbene più sbilanciati verso altre soluzioni – è riuscito nella difficile impresa di pubblicare un disco prog che non temesse il confronto col passato. “Present” ha l’anima dei grandi capolavori dei seventies, ha il fascino di quegli anni senza inopportuni update stilistici che tra l’altro nessuno in fondo ha mai cercato e voluto nelle forme in cui ci sono stati consegnati. Che straordinaria cosa, pubblicare un disco prog di simile dimensioni artistiche saltando a piè pari l’ingenuità del new prog anni 80 e la furbizia citazionale degli anni 90, andando invece a ribadire un concetto talmente semplice nella sua verità, che per un po’ di tempo deve esserci sfuggito, vale a dire che se l’ispirazione c’è, quel che ne viene fuori è un disco ispirato e può fare benissimo a meno dei tediosi e non sempre veri concetti legati all’evoluzione artistica, tra l’altro rivelatisi a più riprese, nel caso del prog recente, in opere di stupida rilettura da parte di scaltri autori. Paradosso? Può darsi. Allora i Van Der Graaf Generator, nonostante tutto questo tempo, hanno paradossalmente pubblicato un capolavoro. Alla faccia delle evoluzioni e delle influenze artistiche. Probabilmente “Present” suonerà datato ai più ma per quanto mi riguarda è il disco dell’anno, per coerenza, stile, classe e non ultima per la musica senza tempo in esso contenuta.