Blind Melon – Blind Melon

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Era il ’79, quando il “Dirigibile“ più glorioso della storia del Rock, precipitato a causa di tragici eventi, decise di piantare in asso i milioni di spettatori che per circa dieci anni rimasero fedelmente con il naso a mezz’aria, pronti ad acclamare ogni sua “trasvolata”. Un decennio, per la musica, chiuso in modo funesto sì, ma proprio quando il Rock stava per essere sepolto, in chiusura degli ’80, qualcosa accadde. Nel ’91 la più banale delle espressioni “Non Importa”, bastò a far risorgere il Rock, novella fenice dalle ceneri. Erano arrivati gli anni del grunge, della rabbia interiore, del dolore adolescenziale, del pessimismo cronico, quando due immigrati dal Mississipi, il chitarrista Rogers Stevens e il bassista Brad Smith incontrarono a Los Angeles il loro futuro frontman Shannon Hoon. Di lì a poco, nel ’92, la Capitol li avrebbe proiettati ai vertici delle classifiche con “Blind Melon”, album omonimo, erroneamente associato al sound grunge di Seattle e che al contrario si lasciava alle spalle le melodie acide e disperate alla Cobain. In quest’album, grunge solo nella scelta dei temi trattati, il vecchio blues, le ballate acustiche, la psichedelia, la nervosità elettrica e il tumulto vero e proprio sono abilmente caricati e fatti deflagrare con precisione. E la novità di quegli anni è stata proprio questa. Trattare temi come il disagio adolescenziale, l’incomprensione e la sfiducia con ritmi e melodie che richiamano al contrario le atmosfere beat degli anni 60/70. Partendo dall’hit “No Rain”, al confine tra country rock e acid rock, ci ritroviamo di fronte ad un ragazzo in completa solitudine, ignorato e non apprezzato che in maniera paradossalmente allegra e scanzonata, per evitare di essere considerato un alienato, preferisce osservare la pioggia che riempie una pozzanghera. In “Soak The Sin”, dalle tonalità rudi e funk rock, e in “Tones Of Home”, classico riff blues, ritroviamo lo stesso ragazzo che scappa via dai propri affetti e dai “suoni familiari”, sempre perché non capito, per immergersi nel fiume e tenere a bagno il peccato della sua anima. Presente anche una componente più vellutata in “Change”, ballata acustica, dal suono più morbido, impreziosita da una armonica molto LedZeppeliniana e da un mandolino che rimanda assurdamente a sonorità mediterranee. Da qui si ritorna fluentemente al vecchio folk rock di “Deserted” e “Sleepyhouse”. Altro aspetto non trascurabile è il registro del vocalist che ai più attenti non può non far tornare in mente l’estensione folle e selvaggia di Plant. I richiami ai maestri del passato sono numerosi quindi, persino nel nome scelto dai componenti che, facile da anagrammare, riporta, anche solo per assonanza, a Blind Lemon Jefferson, padre del blues degli anni 20. Qualcuno, per tutto questo, li ha superficialmente considerati degli imitatori alle prime armi, ma basta ascoltare quest’album per prendere atto che forse qualcuno quel “Dirigibile” non lo ha dimenticato e al contrario, lo ha considerato antesignano, precursore di tutte le tendenze e movimenti futuri, a tal punto da provarci quanto siano stati formidabili quegli anni.