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Nel vasto mondo della musica, capita talvolta di scovare degli artisti dotati di un indubbio talento, i quali tuttavia si ritrovano ad inseguire per un’intera carriera quel “quid” che possa fare di loro dei grandi artisti. Robert Cray è fuor di dubbio uno di questi: bluesman dotato di una bella voce e di una buona abilità chitarristica, nonostante gli ormai oltre 30 anni di carriera non è ancora riuscito a delineare un’identità ben precisa, e questo “Twenty” ne è l’ennesima riconferma. Volendo parlare dal punto di vista più squisitamente tecnico, questo suo ultimo album avrebbe tutte le credenziali per essere un capolavoro, alla luce delle già citate doti del nostro, dell’ottima produzione e del buon livello generale dei vari pezzi. Il problema tuttavia è appunto questo: buon livello generale sì, ma senza nulla di eclatante, ancora una volta mancano quei pezzi che facciano gridare al miracolo. La miscela di blues e soul di “Twenty” piace ma alla fine non convince, la parte soul in particolare è un’altra espressione di quella sorta di revival propostoci ultimamente grazie a giovani artisti come Joss Stone o Ricky Fanté, bravi sì, ma ancora acerbi e con una lunga strada davanti a sé per raggiungere quelli che sono stati i mostri sacri del genere. Che uno come Robert Cray invece si ritrovi ancora ad inseguire questi traguardi a 50 anni suonati è già un po’ meno accettabile. Lo ribadisco, “Twenty” è un buon album, ma soffre di un’eccessiva carenza di personalità, è un album soul blues valido ma incapace di catturarci di per sé. Se prendiamo ad esempio un pezzo come “Fadin’ away”, uno dei migliori episodi dell’album, ce ne possiamo rendere conto facilmente: ballatona blues di stampo classico con qualche reminescenza Claptoniana, piace, si lascia ascoltare volentieri, ma la riascolteremo in seguito? Sembra proprio che Robert presti più attenzione alla forma che alla sostanza, che nelle sue interpretazioni non riesca a metterci l’anima come sarebbe doveroso. Un altro esempio è la successiva “My last regret”, episodio dal sapore vagamente jazz, gradevolissima, soffice e patinata, quel classico tipo di song valida per un locale di classe piuttosto che per una serata di “Montecarlo Nights”. Ma anche qui, le note entrano piacevolmente nelle nostre orecchie, senza però imprimersi nella nostra mente. E lo stesso discorso potremmo farlo per tutti gli altri pezzi, in particolare per “I’m walkin’” o la stessa title-track “Twenty”: gradevolissime, certo, ma quanta artificiosità, quanto distacco interpretativo. In questo genere di musica ci vuole più partecipazione, un’interpretazione forse meno perfetta ma più vissuta, almeno secondo chi vi scrive: Robert Cray insiste con la strada della raffinatezza e dei clichè, finendo rovinosamente nella mera affettazione, si lascia ammirare ma non riesce mai a conquistarci del tutto, In sostanza, siamo di fronte a un buon album dalle atmosfere raffinate, ben realizzato e rilassante, ma incapace di ammaliare nel profondo come i migliori album soul e blues dovrebbero. Se questo vi basta, ne resterete soddisfatti; se no, potrete mettervi il cuore in pace e, se volete, aspettare ancora il della maturità definitiva di Robert. Ancora una volta.