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Guardatevi un po’ in giro. Si parla di Demon Days, nuovo album dei Gorillaz (per chi ancora non lo sapesse, progetto “cartoonesco” di Damon Albarn, voce dei Blur) da molto tempo, e dovunque vi giriate troverete una cosa curiosissima: opinioni per lo più raffreddate, definizione di disco mediocre con alcuni colpi di genio all’interno, e niente più. Sono proprio questi “sporadici” colpi di genio però a lasciare un dubbio: c’è chi definisce migliore O Green World per suo linguaggio a forma Blur inserito in un contesto post punk che farebbe felici i Daft Punk, chi invece coglie nella melodia di basso rubata agli U2 di Feel Good Inc il singolo perfetto e niente più, grazie soprattutto all’apporto deviato dei Da La Soul, chi vuole vedere in Dare un incrocio tra Tom Yorke, il synth pop e l’hip hop e ancora chi vede nel miscuglio Beck-oriented-dark-techno di Dirty Harry l’unico pezzo riuscito dell’album. Una cosa è certa: Demon Days è un album che fa parlare, nel bene e nel male. Un album che, come fatto notare, prende i passi da ogni tipo di musica, new wave, hip hop, pop, elettronica, folk e Beach Boys addirittura e le mette in un frullatore, dove ognuno sceglie la sua canzone preferita. Chiamasi questo disco pop perfetto, se nessuno se ne fosse ancora accorto. Prodotto meravigliosamente, confezionato ancora meglio, suonato impeccabilmente, ruffiano come pochi, notturno quanto basta per cogliere anche i palati più fini in contropiede; nulla è lasciato al caso, e se al disco può essere contestato di scivolare un po’ troppo facilmente nelle orecchie e di avere almeno due canzoni non all’altezza (White Light e November Has Come), dall’altra parte con un po’ d’attenzione in più si scopre quel che da sé è uno dei dischi più riusciti del 2005.