Nine Inch Nails – With Teeth

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Sono già passati sei anni dall’uscita del monumentale “The Fragile”, e dopo le ottime release dal vivo, Trent Reznor ha deciso finalmente di rompere il silenzio dando alle stampe “With Teeth”, quarto effettivo full length in studio dei Nine Inch Nails. Questa release ha tuttavia suscitato reazioni assai controverse fra pubblico e critica, perché Reznor a quanto pare sembra aver deluso un po’ le aspettative; confesso che io stesso, sostenitore da anni della causa dei NIN, mi aspettavo qualcosa di sicuramente più sorprendente dopo sei anni di attesa, visto che Trent ci ha sempre abituato ad album che hanno rivoluzionato le carte in gioco rispetto all’uscita precedente, ma il nostro eroe qui sembra aver voluto giocare più che altro con le sfumature. Per spiegarmi meglio, vorrei passare subito a una breve descrizione dei brani che compongono questo disco, per lasciare le impressioni definitive nella parte finale. Il brano che apre “With Teeth”, intitolato “All the love in the world” è già una sorpresa: un brano lento e malinconico collocato all’inizio di un album dei NIN è qualcosa di assolutamente inusuale e mi ha fatto davvero pensare a un errore di masterizzazione del disco da parte di quelli della Interscope. Il discorso si interrompe già con “You know waht you are?”, esempio di feroce sonorità industrial-jungle che mi ha ricordato un po’ i vecchi Prodigy nella prima parte e il David Bowie di “Earthling” nella seconda; un altro ottimo brano, però abituato alla linearità da concept album che caratterizzava “The Fragile” e in parte lo stesso “The Downward Spiral”, fatico ad entrare in sintonia con la sequenza di brani di “With Teeth”. Il terzo brano, “The Collector”, sembra riportarci per sonorità e mood al secondo CD di “The Fragile”, dando un’impressione di deja-vù che ne compromette sicuramente il godimento. La sorpresa più grande del disco viene dal single “The Hand that feeds”, song dal taglio elettro dark/ebm che ho letto aver suscitato molte perplessità: effettivamente, un brano così danzereccio non è in linea col Reznor che ben conosciamo, ma non mi sento di scagliare la pietra contro un brano certamente easy, ma comunque ben realizzato e affatto banale, anzi, decisamente trascinante. Certo, i brani migliori sono sicuramente quelli al livello di “Love is not enough”, un grido disperato in mezzo all’oscurità che sembra provenire dal fondo della spirale; fa specie che ad esso segua una ballata tanto morbida rispetto agli standard NIN da sembrare quasi pop come “Every day is exactly the same”, che pure non lascia indifferenti per le sue belle liriche. Dalla title-track “With Teeth” mi aspettavo certamente un pezzo impregnato di rabbia, ma ancora una volta Reznor stravolge le mie aspettative con un pezzo oscuro e dalle cadenze ironiche ed inquietanti; stupisce, e non poco, anche la strana rappata/industrial di “Only”, mentre “Getting smaller” per la velocità furiosa che assume in certi tratti sembra potersi candidare come la nuova “March of the Pigs”. “Sunspots” scorre via tranquilla senza colpire più di tanto, lasciando lo spazio alla dissonante “The Line begins to blur” e a “Beside you in Time”, un esperimento space rock molto ben riuscito, in cui la lezione di gente come gli Hawkwind è assai evidente. In “Right where it belongs”, un pianoforte e una voce si oppongono con delicatezza ai campionamenti industriali catturando l’orecchio dell’ascoltatore con i suoi toni e le parole intimiste; sembra di tornare ai tempi di “Hurt” e la voce di Reznor che sale via via verso la conclusione sembra aprire la strada all’esplosione finale di disperazione che aveva caratterizzato la fine di “The Downward Spiral”, ma invece tutto sfuma in un sereno silenzio, quasi a significare che Trent da quella fase è uscito definitivamente. In conclusione vi sono alcune domande che dobbiamo porci. Anzitutto, Trent Reznor ha fatto un passo indietro con la sua musica? Se guardiamo alla struttura dell’album, viene da rispondere «certamente»: “With Teeth” non possiede certamente la strutturazione concettuale che ha caratterizzato i capolavori “The Downward Spiral” e “The Fragile”, lo sbalzo di sonorità ed atmosfere fra i vari brani sembra a tratti ingiustificato, sembra mancare quella finezza che distingueva Reznor dai tanti gruppi minori della scena industrial metal. Però, a ben sentire, una varietà di suoni e influenze come questa non la ritroviamo negli altri suoi dischi (mi riferisco in particolare ai momenti accostabili al rap, al jungle), Trent sembra aver voglia di sperimentare, in maniera a tratti forse ruffiana visto che a volte sembra destreggiarsi per accontentare i fan di vecchia data di un disco piuttosto che dell’altro, ma in maniera sicuramente efficace. Non riesco a spiegarmi inoltre l’assenza di brani strumentali se non col fatto che, forse, Reznor in passato abbia voluto sfogare in essi passato la propria rabbia e malinconia in maniera più completa, mentre oggi sembra essere guarito da questo mal di vivere, e l’intensità disperata e ossessiva dei vecchi lavori si sente infatti solo a tratti. Alla luce di tutto questo, mi tocca concludere che bene o male questo nuovo album dei NIN mi ha spiazzato, ma dopo attenti ascolti posso affermare con cognizione di causa che si tratta di un ottimo lavoro, assai ispirato e al solito realizzato con classe e personalità. La qualità è alta, anche se, per quanto detto finora, nel complesso “With Teeth” risolta indubbiamente inferiore ai due full length degli anni ’90 e potrebbe deludere chi si aspetta un altro disco epocale; esso si pone piuttosto, per la sua struttura di “album normale”, al livello del vecchio “Pretty Hate Machine”. E tutto sommato non mi sembra poco…