Wolf Parade + We Are Scientis: Indie evening…

La serata di oggi ha un'aria più amichevole del solito. Le 2 band che si dividono il palco in 2 set uguali mi ricordano tanto I gruppi agli inizi, quando per aumentare pubblico e ingressi si dividono la serata (e gli strumenti) in 2 set della stessa durata. E come sempre accade in quelle occasioni c'è chi viene per uno e chi vene per l'altro, con il risultato che il secondo avrà sempre un'accoglienza più tiepida, perchè avrà davanti solo chi è rimasto per lui. Non pensavo che un ragionamento del genere fosse valido anche per degli artisti internazionali di fama come Wolf Parade e We Are Scientis, ma è stato così, e chi alla fine c'è rimasto fregato sono I secondi. Un po' perchè , in confronto diretto, non reggono contro I 4 (nel live 5) di Montreal, un po' perchè hanno proposto un set che è bruciato troppo in fretta, e hanno tentato di ravvivare inutilmente le ceneri per buona parte del tempo a loro disposizione. Il circolo non è pieno come mi sarei aspettato, e forse è meglio così perchè raggiungo ancora una volta la prima fila (Gente, in prima fila, a dispetto degli anni passati) si sente tutto in maniera fantastica), proprio sotto il chitarrrista aggiuntivo, attirato non so se dalla sua Telecaster o dall'infinità di percussioni che ha davanti. Nell'ordine: un tamburello, un tamburello fissato con lo scotch ad un timpano, delle tubular bells appese al microfono e dei campanellini attorcigliati all'asta, l'immancabile ovetto (ormai sembra che Ovetto On Stage is the new loud) e le maracas e, per concludere, una “grattugia” cilindrica a fare da Cow Belll. Puntuali come da programma salgono sul palco e così, a prima vista, sembrano 4 stereotipi di indie rocker presi a caso e messi su uno stage. C'è il rocker Dan Boeckner, con il suo fare molto Vines, il nostalgico di Brian Wilson Spencer Krug, con una non molto invidiabile camicia a righe azure bianche e rosa, il preciso Hadji Bakara, che si è diviso tra più tastiere, programmatori e due theremin, uno ad antenna e uno sferico, ed infine il batterista, un lontano cugino di Badly Drawn Boy. A completare la formazione c'è un Kele Okerke dei poveri, che, alla fine, tra una schitarrata e 4 colpi ai tamburi, tra qualche fraseggio alla tastiera e 2 vocals buttati lì è diventato inconsapevolmente il centro dell'attenzione. Ma ben sapevamo che il vero merito della musica dei Wolf Parade, che suonano dal vivo come un ipnotico Carrion indie, sono il Cantante e il tastierista, I 2 che vengono più presi dal ritmo e dale loro melodie sghembe, un pop trasversale che affascina proprio per I suoi schemi non convenzionali, per quell gusto pop arrangiato in maniera del tutto particolare. E' vero, molti, forse troppi dicono che ricordano gli Arcade Fire, e non è certo questo il posto giusto per mettersi a discutere chi sia arrivato prima o chi sia meglio, fatto sta che il live è stato intenso e vissuto, sono bastati 3 pezzi e già erano palesemente visibili le gocce di sudore colare sul viso di Spencer (Dan , ad ogni scatto epilettico della canzone, era un fuoco dartifico d'acqua). I 5 cercano di onorare al meglio il loro set, pescando a piena mani da Apologies to Queen Mary. Sono bravi, cazzo se sono bravi, hanno un sound che colpisce tutti quanti, una presa dal vivo di quelle che tu non ti senti in grado di fare niente per tutta la canzone, se non liberarsi in un applauso alla fine. Anche nei pezzi più tirati (fancy claps su tutte) si preferisce stare a vederli mentre sfogano la loro “urgenza d'esperessività” piuttosto che partecipare nel più classico dei “poghi”. Unico difetto del concerto la durata, ma è semplicemente perchè, come troppo spesso accade, le cose che più ci piacciono sembrano finire troppo presto. Delusione di molti, qualte tiepido grido di Bis ingannato dalla band quando risale sul palco. In molti ci credono e devono rassegnarsi quando li vedono smontare gli strumenti e spostare gli amplificatory. E devo dire che ci sono rimasto male anche io. Ancor di più quando il pubblico a cominciato a disinteressarsi totalmente della seguente band, non che I WAS abbiano avuto lodi simili a quelle dei Wolf Parade, ma andarsene mi è sembrata una sciocchezza da parte di molti. In fin dei conti è pur sempre una band che viene da fuori, un minimo di “calore romano” glielo vogliamo dare o no? Ed è così che, nel silenzio generale, prendono posto I We Are Scientis, un trio dal'aspetto particolare. Non tanto per il batterista, una persona qualunque, ma il bassista è quello che molti chiamerebbero un Nerd di Prim'Ordine. Sembra il figlio di Al Yankovic , con quei suoi occhialoni spessi e quei baffetti anni 80. E poi c'è il cantante, il belloccio della situazione (non per fare il maligno, ma senza la faccia del cantante non so se sarebbero mai arrivati a suonare in giro), un Tim Wheeler degli Ash. (e non sarà l'unica somiglianza con la band di Wheeler). Attaccano e non sono male, o meglio non così male come si poteva credere. Sono l'ennesima prova che il Punk Funk fa più danno che bene, ma sono piacevoli. Non sono schizzati come I Rapture da cui però raccolgono l'eredità dance, mischiano sapientemente ritmi e sound Bloc Party (Cavalcate la moda finchè siete in tempo) a canzoni forse troppo spicciole alla Ash appunto. Merito principale che hanno è quello di creare un sound completo e compatto nonostante I mezzi ridotti, ogni pezzo e tutto un riff, colmo, carico, possente anche perchè ritmato sui sedicesimi e supportato da un delay che raddoppia ogni nota, ma soprattutto pulsante di beat grazie a un batterista che è una macchina, un metronomo umano. Una serie di 4/4 dai pattern contorti e ricercati, dale rullate velocissime e dagli special martellanti hanno portato avanti una band che, andando avanti sempre più nel corso del concerto, ha dato idea di avere poche idée, ma saperle confezionare molto bene. Già dopo 5 canzoni il pubblico incominciava a cedere, gli arrangiamenti serrati finivano per sembrare tutti uguali, I pezzi -che nel cd durano molto meno- vengono dilungati in preda ad un ritmo che sembra agire per lo più sui componenti stessi del gruppo, in maggior modo sul cantante che si diverte, danza con la sua telecaster a tracolla mentre continua con le sue forsennate pinnate, ma per chi questa musica non la suona, perchi stato in piedi a sentire pezzi che finivano sempre più per assomigliarsi e si è dovuto anche subire un'orrenda cover di Be my baby (non so se si chiami così…quel motivetto anni 60) non è proprio stata una festa. Il classico caso di dire che senza delle buone idée non si va da nessuna parte, neanche se aiutati da una buona tecnica e da qualche lampo di genio nell'arrangiamento Insomma: aridatece I wolf Parade.