Piano Magic: … molto ma molto Piano…

Diciamo che la giornata lavorativa era stata un'inferno. Cazzo, sembrava dovessi portare tutto avanti io quell giorno, 8 ore che mi auguro di non incontrare mai più. Sommiamoci il tempo, quella pioggerellina sottile e fine di febbraio che ti fa proprio venire voglia di stare a casa con un bel cd senza fare un beato niente. Aggiungiamoci anche l'apertura di Mr.Castanets, che certo non brilla per movimento o groove, col suo folk psichedelico e onirico. Ma l'altra apertura, quella a sorpresa di Jana Hunter no. Quella è stata vertamente il colpo (sui maroni) di grazia per me. E quindi. Sì, lo confesso, 2 pezzi dei Piano Magic me li sono fatti in piena fase REM, dormendo abbracciato alla ringhiera, con la testa che ciondolava e la macchina fotografica legata al collo per arginare eventuali danni maggiori. Il Circolo ha premiato la band inglese, che ha quasi riempito il grande salone di appassionati e curiosit, tutti lì per una band che è in giro da ben 10 anni (e io neanche lo sapevo!). 10 anni in cui sotto il nome Piano magic sono passati un po' tutti gli strumentisti/turnisti inglesi, tastiere, synth, chitarre, e tutto alla fine si risolve sempre con lui, Glen Johnson, il fondatore, l'unico che riesce a metterci cuore e cervello, ma con sempre meno smalto (bisogna dirlo). Ammettiamolo: I Piano Magic sono stati perfetti, un live interessante di una band di nicchia, ma poco, troppo poco coinvolgente. L'esibizione ha tenuto tutti sull'attenti, catturati, senza concedere un minimo attimo di tregua, ed ogni tanto ci vuole, in un live, qualche parola per “smorzare”, un momento in cui gli spettatori respirano, in cui i musicisti “complottano” fra loro. No, I Piano Magic sono chirurgici, robotici, come automi hanno suonato a memoria, senza mai incrociare i loro sguardi, quasi schivano il centro del palco lasciando spazio alla chitarra solista, ricca di riff minimali, piuttosto che rischiare involontariamente di finire al in scena. E così i tempi si sono allungati eccessivamente, le canzoni si dilatavano perdendosi in lunghissime code o passaggi a mio avviso troppo strumentali. Non per fare la similitudine sin troppo scontata quando si parla di loro, ma è davvero sembrato di vedere i Mercury Rev, ma in versione diluita e quindi, come tutte le cose eccessivamente diluite, quasi insapore. Chi ha ascoltato i Piano magic sa che, in fin dei conti, il paragone è quello anche su disco, ma dopo l'ascolto mi aspettavo, o meglio sono riuscito ad illudermi di trovareun po' più di umanità, di fisicità. Invece sono passato da un eccesso a un altro, dalla furia immotivata dei Test Icicles al torporte sognante dei Piano Magic. Speriamo che al prossimo concerto riesca a vedere una giusta via di mezzo! Ma veniamo ai colpevoli, o meglio ai complici del mio abbiocco. Io Devendra Banhart lo capisco, mi piace pure. ma gli infiniti “figli” che gli girano attorno proprio no. Non li digerisco. Cominciamo da Mr Castanets, ovvero un uomo e il suo pellicciotto. Nascosto com'era in quell folto giaccone con la chitarra ad altezza improponibile (tipo J. Cash primo periodo) Raymond Raposa sembrava più un terrorista che un musicista. La sua musica affonda in quell folk minimale, carico di delay e chorus, ricco di riff ridotti all'osso su cui, con l'ausilio di una loopstation, vengono lentamente “caricati” rumori e scratch di sottofondo, che lentamente riempiono ogni angolo della composizione fino a una saturazione e ad una conclusione un po' repentina a “taglio netto”. Pochi I brani proposti, ma -strano a dirsi- buon riscontro di pubblico. Le sue melodie scarne hanno un certo fascino, e questo piccolo live basso/chitarra ha messo in risalto la loro intimità e delicatezza. Basso e chitarra, perchè ad aiutare Castanets c'era sul palco Jana Hunter, l'artista più sopravvalutata del momento. Se incontrate Jana Hunter, fatevi un caffè. Subito all'istante. Bevete una cassa di Red Bull, o più semplicemente scappate prima di crollare al suolo nella braccia di Morfeo. Jana Hunter è una Daria (il cartoon di Mtv) del folk. Scocciata, annoiata, con un fare poco entusiasto e controvoglia prende posto sul palco con la chitarra a tracolla e snocciola una manciata di pezzi che hanno lo stesso effetto di un trattore che passa lentamente sui coglioni, che in più fa anche iretromarcia perchè, se dobbiamo fare una cosa, facciamola bene. Emotività 0, entusiasmo 0, passione 0, tecnica 0 (ma tanto per quell che fa non serve), il momento più entusiasmante è stato quando ha accordato il basso, il momento più deprimente è stato esattamente 10 secondi dopo, quando ha iniziato una nenia quasi urticante per le orecchie. Da evitare come la peste. Morale della favola, questo sonnifero ambulante, parzialmente aiutata dal barbuto Castanets mi hanno indebolito, consumando la mia attenzione e succhiando quelle poche ultime energie che la giornata mi metteva a disposizione facendomi piombare in un breve letargo verso la fine del set dei Piano Magic, svegliato da un finale “bis! Fuori” che mi ha concesso di seguire gli ultimi due pezzi con cui salutavano il pubblico romano. In un certo senso mi dispiace di non essermeli potuto gustare a fondo, era pur sempre un concerto da seguire e vedere. Magari anche seduti. Con una copertina di lana. E un cuscino per la testa. Ma soprattutto con un thermos colmo di caffè.

Altre foto del concerto le trovate su www.concertinalive.it